martedì 31 gennaio 2017

Jimi Hendrix 26 Maggio 1968, un'occasione perduta.

A volte accade che non diamo importanza a fatti che, al momento che accadono sono, non dico la normalità ma fanno però parte del vivere quotidiano e che, al momento, non ci paiono così importanti come invece poi lo diventeranno negli anni a venire.
Il fatto che vi racconterò, accaduto un secolo fa, è altamente rappresentativo della cosa che ho appena scritto.

Era il 1968 ed io non avevo ancora compiuto 12 anni ma già, da un annetto circa, mi ero appassionato alla musica rock ed ogni occasione era buona per farmi regalare qualche 45 giri di quelli che a quell'epoca erano i miei complessi preferiti.
Per lo più ascoltavo quello che veniva chiamata musica Beat e che in larga parte era proposta da complessi italiani, però, nella mia piccola collezione, già avevo dischi di gruppi e artisti stranieri, tipo Yardbirds (adoravo Jeff Beck), Animals, The Who, Bob Dylan ed altri.

Da un po' di settimane era arrivato nel juke box del barrettino che frequentavo, vicino l'attività lavorativa dei miei Genitori, un singolo con due brani che non finivo mai di ascoltare; si chiamava “Hey Joe/ Stone Free” ed erano eseguiti da un chitarrista di cui mi ero prontamente informato tramite le riviste dell'epoca, Jimi Hendrix.
Già dall'aspetto, visto da alcune foto, mi sembrava quasi un marziano, nero, magro e altissimo o almeno così lo immaginavo, sempre vestito con colori sgargianti, foulard colorati, stivaletti con tacchi altissimi per l'epoca e numerosi monili al collo ed alle dita. Mi aveva insomma, con la sola forza di una canzone e di alcune foto, già conquistato.
Immediatamente acquistai anche il secondo 45 giri che trovai sul mercato, la cui copertina mi rapì immediatamente, con tre ceffi vestiti in maniera impensabile per il nostro Paese a quei tempi, di cui uno in particolare aveva un ghigno sul viso che me lo faceva assomigliare ad un teppista, per cui la mia simpatia per lui fu immediata (si trattava di Mitch Mitchell ed il singolo in questione era "Purple Haze/ 51st Anniversary").

C'è ovviamente da pensare all'Italia di allora, indietro anni luce rispetto alla vicina Inghilterra, ed anche alla mente ed agli occhi di un ragazzino non ancora dodicenne della provincia italiana.
Il massimo della trasgressione erano stati, fino a quel momento, i Beatles ed i più avvicinabili The Primitives, The Rokes, The Motowns ed insomma tutti quei complessi dai capelli lunghi che, con un italiano stentato ci facevano sentire di appartenere quasi ad una tribù fatta di giovani ribelli.

Quando, un po' di tempo dopo, su “Ciao Big”, che era una rivista musicale dell'epoca, vidi che veniva annunciato un breve tour in Italia di Jimi Hendrix appunto e che una delle date previste sarebbe stata nella non troppo lontana Bologna, mi misi subito in azione per convincere i miei Genitori a portarmici.
La data cadeva per l'appunto di domenica ed era il 26 Maggio di quell'anno.
Purtroppo all'epoca mio Babbo gestiva un'attività lavorativa che lo teneva impegnato anche al mattino della domenica ed a malincuore dovettero dirmi di no; mia Mamma era sempre stata infatti appassionata di musica ed in larga parte la mia passione musicale la devo a lei. In casa sono infatti cresciuto con nelle orecchie le canzoni  di Elvis Presley, Little Richard, Jerry Lee Lewis, Frank Sinatra, Louis Armstrong, Ella Fitzgerald, e dei vari cantanti italiani dell'epoca.
Il mio primo concerto infatti era stato alcuni anni prima quando, poco più che bambino, i miei mi portarono a vedere al Teatro Lux di Pistoia, il doppio spettacolo con Adriano Celentano e i Ribelli e Rita Pavone; era il 1965. In seguito avrei visto molti altri concerti, spesso pomeridiani, che transitavano nel Teatro della mia città.
Purtroppo dunque vedevo l'occasione sfumare, quando ebbi un lampo di genio; avevo un cugino più grande di me, ne ho già parlato nei miei racconti sul Piper di Viareggio, locale che lui frequentava e che, grazie alle conoscenze che aveva con i gestori, riusciva a farmi entrare e, dopo avermi parcheggiato ad un tavolo con una bibita in mano, mi lasciava a vedermi i complessi che si esibivano su quelle pedane e lui se ne andava a corteggiare le ragazzine più carine.
Bene, pensai che lui avrebbe fatto al mio caso e che sicuramente non si sarebbe fatto pregare per venire ad accompagnarmi a Bologna al concerto di Jimi Hendrix, visto che piaceva anche a lui e che proprio lui stesso mi aveva regalato il 45 giri di “Hey Joe”.
Detto fatto, come glielo chiesi mi rispose subito che non ci sarebbero stati problemi, saremmo andati con la sua fiammante 500, ovviamente dopo il si dei miei Genitori; si che arrivò senza alcun problema, visto che mio cugino era un bravissimo ragazzo di 22 anni, in cui i miei avevano piena fiducia.
Nei giorni che si avvicinavano al concerto sentivo l'eccitazione salirmi, cavolo sarebbe stata la mia prima trasferta ed ero eccitatissimo dalla cosa, al pari del fatto di poter vedere un chitarrista straniero e di colore per di più. Tenete infatti presente che anche questa era una cosa che all'epoca rappresentava qualcosa di quasi esotico per noi ragazzini dell'epoca; avevo si già visto Rocky Roberts con i suoi Airedales ma questo che mi apprestavo a vedere prometteva sicuramente di essere qualcosa di molto più sconvolgente.

Un paio di giorni prima telefonai a mio cugino per avere la conferma e ricordo la mia delusione quando mi disse che proprio alcuni giorni prima aveva conosciuto una ragazza molto carina e che per il giorno del concerto, che in tutta sincerità mi confessò aver dimenticato, le aveva promesso di portarla a fare una gita al mare.
Restai deluso ma non più di tanto, in fondo pensavo che ci sarebbero state mille altre occasioni in seguito per vedere Jimi Hendrix e capii benissimo mio cugino, che spesso mi aveva accompagnato a vedere cose che mi interessavano, per cui non gli portai alcun rancore per questo fatto.
La cosa dunque finì li.

Purtroppo, come tutti tristemente sappiamo, non ci fu per noi italiani altra occasione, oltre quegli oramai storici cinque giorni di quel lontano Maggio, per vedere il più grande genio chitarristico della storia del rock e tutti quelli che hanno assistito ad uno di quei memorabili concerti, lo portano ancora oggi nel cuore come uno degli eventi che hanno segnato la loro vita.

Molti anni dopo, siamo nei primi anni '90, possedevo una stupenda Jeep Renegade e, nel mio paese non erano molti i meccanici in grado di metterci sopra le mani senza dover spendere cifre che rasentavano la follia.
Ricordo che ebbi un problema alla scatola dello sterzo e, preoccupato, chiesi ad alcuni amici se conoscessero qualche buon meccanico in grado di riparare il danno e, soprattutto, di trattarmi bene con il prezzo.
Uno di questi amici si offrì di accompagnarmi da un meccanico che conosceva e che, sicuramente, mi sarebbe venuto incontro con la spesa.

Arrivammo all'officina e mi presentò al meccanico in questione, un ometto magro, tra i quaranta ed i cinquanta, con le mani sporche di olio, la barba trascurata, un cappellino da baseball sudicio calato sulla fronte ed una sigaretta nell'angolo più lontano nella piega amara della bocca.
Quando il mio amico mi presentò gli disse: “ Mi raccomando Mario, trattalo bene il mio amico, sai lui fa pure la sicurezza ai concerti, così magari se un giorno vuoi andare a vederti qualcosa, lui sicuramente cercherà di farti passare senza pagare il biglietto”, cose che ovviamente vengono dette così, tanto per cercare un approccio amichevole. Lui mi guardo con fare dubbioso, poi si voltò verso il mio amico ed esplose con una frase che mi lasciò di ghiaccio: “...concerti??? Vaìa, vaìa (tipico intercalare fiorentino), rammento ancora quando tanti anni fa, dei miei amici mi portarono a Bologna al Palasport per vedere un concerto, c'era un negro con un cesto di capellacci che faceva un casino! Suonava addirittura la chitarra coi denti! Venimmo via dopo tre o quattro canzoni! Da allora di concerti io ne no ho più voluto sapere nulla”.
io gli chiesi se il musicista in questione si chiamasse per caso Jimi Hendrix e lui mi rispose che si, gli sembrava che si chiamasse proprio in quel modo!
Insomma, aveva visto il mito in persona e non gli era piaciuto al punto di andarsene prima del termine del concerto, non ricordandosi poi nemmeno di averlo visto.
Lui aveva avuto questa incredibile opportunità e ne conservava un pessimo ricordo, mentre io avevo visto sfumarmi la possibilità tra le dita e ne avrei invece sicuramente portato un ricordo meraviglioso per tutta la mia vita; davvero paradossale!


C'è un detto delle nostre parti che dice: è proprio vero, chi ha pane non ha denti e chi ha denti non ha il pane!

venerdì 20 gennaio 2017

Il giorno che gli Area aprirono ai Les Rockets. Bussoladomani 23 Luglio 1978.

C'è stato un periodo, nel nostro paese, in cui i grandi tours degli artisti più importanti del panorama musicale mondiale, passavano accuratamente lontano dall'Italia.
Troppi gravi problemi avvenivano ogni qualvolta arrivava un artista straniero significativo. I terribili fatti che avevano riguardato alcuni di loro nei periodi allora più recenti (Santana e Lou Reed ad esempio) avevano fatto propendere i tour managers degli artisti di rilievo del rock a fare una specie di embargo nei confronti del nostro Paese.
Fu un quinquennio piuttosto triste, quello che andò dal 1975 al 1979, per tutti gli appassionati italiani che si dovettero accontentare di assistere alle esibizioni dei soli artisti di casa nostra, anche se cose buone ce n'erano anche da noi in verità, più alcuni esponenti di generi tipo Disco Music e derivati, che non venivano minimamente toccati da questioni riguardanti gli autoriduttori.

Nella vicina, per me, Versilia, avevamo la fortuna di avere un posto dove poter assistere a concerti anche piuttosto importanti; questo posto si chiamava “Bussoladomani” ed era praticamente un tendone da circo, o tensostruttura che dir si voglia, adibito a concerti, una specie di Teatro Tenda ante litteram.
L'aveva creato quel grande imprenditore che rispondeva al nome di Sergio Bernardini, fodatore e patron della mitica “Bussola”delle Focette, luogo che aveva visto transitare sul suo palco artisti di fama internazionale (Ray Charles, Ella Fitzgerald, Shirley Bassey, Tom Jones, Wilson Pickett, Chet Baker, la nostra Mina e moltissimi altri) ma che, da un po' di anni aveva iniziato a perdere smalto.

Sul palco di “Bussoladomani” avevo già visto svariati concerti nei due anni che precedevano quell'estate del 1978, tipo: Barry White, Gloria Gaynor, Premiata Forneria Marconi, Boney M, Renato Zero, Roberta Kelly, Donna Summer, Patty Pravo e Tina Turner, però quell'appuntamento del 23 di Luglio del 1978 mi pareva piuttosto azzardato, come accoppiamento, per non andarmelo a vedere.
Si teneva infatti un doppio concerto, concerto di due gruppi che più distanti tra loro non potevano essere: i grandi, grandissimi Area di Demetrio Stratos, gruppo che avevo già visto un'infinità di volte ma che aveva da poco pubblicato un album che mi era davvero piaciuto molto “1978: Gli Dei Se Ne Vanno, Gli Arrabbiati Restano” ed un gruppo che era un po' l'ultimo grido della musica che veniva ballata in discoteca e che parevano usciti da Marte con i loro travestimenti scenici, i francesi Les Rockets.
Non avevo idea di quale fosse il gruppo che avrebbe aperto la serata ma, non appena arrivai all'interno del tendone, capii immediatamente, dalla strumentazione posizionata sulla destra, proprio sul bordo del palco, che ad aprire sarebbero stati gli Area.
Mi salì immediatamente un po' di rabbia; non ritenevo giusto infatti che una band storica come loro si trovasse costretta ad aprire per un gruppo che aveva si e no un paio di hits in classifica, uno dei quali tra l'altro era il rifacimento in chiave “space rock” (?) del celebre successo dei Canned Heat di un decennio prima, la famosissima “On The Road Again”.

Pochi preamboli e gli Area attaccarono subito, senza dire una parola, con “L'Elefante Bianco”, seguito da “Interno Con Figure e Luci”.
La formazione era quella celebre a quattro, con Demetrio al Fender Rhodes e voce, Ares Tavolazzi al basso, Patrizio Fariselli alle tastiere e Giulio Capiozzo alla batteria.
Breve introduzione di Demetrio per il brano successivo, “Il Bandito Del Deserto” che dichiarò essere ispirato alla poesia araba “Il Bandito” di Shanfara.
Brano tiratissimo che strappò persino qualche applauso al numeroso pubblico accorso alla serata più che altro per vedere i Rockets.
“Acrostico In Memoria Di Laio” che fu così introdotto: “ Laio era il padre di Edipo, che fu quello che andò con la mamma, questo è dedicato al padre, che dopo molti anni paga ed il testo è di un signore che si chiama Lacan...Acrostico In Memoria Di Laio...”
Dopo aver ringraziato Demetrio presentò il brano successivo dicendo: “...questo è un pezzo del '73, si chiama Areazione”. Bellissima e lunga versione del brano apparso sul loro album “Are(A)zione”, uscito nel 1975.
Demetrio introdusse così il brano che seguì: “Prossimo brano si chiama “Return From Workuta” che non è il titolo di un film western; Workuta è il nome di un campo da tennis vicino Stalingrado”.
Rammento che mi chiesi immediatamente cosa sarebbe arrivato di tutto questo al pubblico che stava guardando il set di questa storica band, di cui non sapeva sicuramente quasi nulla,  a bocca aperta e continuavo a chiedermi quale mente contorta poteva aver concepito un abbinamento come quello ma tant'era, gli Area stavano tenendo un ottimo concerto e forse, chissà, qualcuno dei ragazzi presenti, si sarebbe magari appassionato anche a questa strana musica; gli applausi che si prese Demetrio durante l'introduzione vocale del brano (era davvero mostruoso dal vivo) mi confortarono non poco.
Ultimo brano in programma fu “Vodka- Cola”, presentato come “un cocktail”.
Brano stupendo e perfetto, con quei coretti finali in stile anni 50, per concludere il loro set.
Circa quarantacinque minuti di set furono dunque ciò che gli Area concessero al pubblico quella sera. C'è da dire però che i concerti in quegli anni raramente superavano l'ora di durata.

Tralascio il racconto del concerto dei Rockets che furono si divertenti, con esplosioni mai viste prima, raggi laser e costumi incredibili ma che, visti dalla mia posizione appoggiato al palco, non potevano nascondere ai miei già esperti occhi di fare un largo, larghissimo uso di basi preregistrate.