martedì 26 aprile 2022

LEO BONI


 FIRENZE. Improvvisa e inaspettata la scomparsa nel sonno del musicista fiorentino, ma cittadino del mondo Leo Boni, aveva iniziato la sua carriera alla Berklee School Of Music nel 1984, ha lasciato sconvolti i numerosi amici, appassionati e musicofili toscani. Leo non era solo un grande, enorme, chitarrista, ma era un artista che, una volta visto, non potevi certo dimenticare. I suoi lineamenti facevano della sua sagoma una maschera caratteristica inconfondibile, tanto che l'amico di sempre, il sassofonista Cris Pacini, l'altra metà dei Coguari di Cinta, duo che allietava le serate nei club toscani, si divertiva a caricaturizzare in tutte le maniere possibili sulle varie locandine che annunciavano le loro serate. Con quella sua criniera leonina, il suo inconfondibile naso e la sua voce cavernosa, che lo faceva addirittura sembrare un cantante di colore di New Orleans e un carisma da tipico artista d'oltreoceano da dove proveniva, era impossibile che, una volta visto appunto, venisse dimenticato.

Domenica scorsa, la sua famiglia ha organizzato una commemorazione presso il club Combo di Firenze, dove si sono dati appuntamento i numerosi amici e conoscenti del musicista. Il palco ha accolto chiunque volesse suonare, come la Juke Joint Band di Sauro Ravalli, formazione dove Leo suonava la chitarra da una vita; Roberto Uggiosi, che altri non è che il 50% di Cappotto e Cammello (musica di un certo livello) incredibile duo, portato in scena per almeno tre lustri, che aveva in programma una serata proprio il giorno successivo alla notte in cui è scomparso Leo. Roberto, con il cuore gonfio di emozione e con le lacrime agli occhi, si è esibito con la chitarra di Leo.

Cris Pacini appunto, poi Emiliano Degl' Innocenti e via via moltissimi altri musicisti che, con le lacrime agli occhi, hanno suonato il blues tanto caro a Leo. Particolarmente toccanti sono stati gli interventi della sorella Marina e della figlia diciottenne Anita, che lui amava tanto, al punto da cambiare immancabilmente il testo di una canzone di Stevie Wonder, "Isn't She Lovely", da "Life is Aisha" a "Life is Anita"Anita, che con il suo intervento, è riuscita a far commuovere tutti i presenti. Come quando ha raccontato di come Leo le dicesse guarda che babbo che t'è toccato, facendo allusione al suo essere musicista e artista a tutto tondo, in fondo anche un po' zingaro, un gipsy alla Jimi Hendrix in salsa toscana, o meglio come avrebbe sicuramente detto lui, un Jimi Hendrix al lampredotto e lei, tra i singhiozzi, ha detto di essere stata orgogliosa di aver avuto un babbo così. Blues, swing, gypsy jazz, soul, persino manouche, il tutto però condito sempre da una vena scanzonata di fondo erano i suoi territori. Sarà impossibile dimenticare Leo Goodies, mancherà tantissimo la sua arte incredibile, la sua simpatia e il suo carisma. Ci lascia però tre importanti testimonianze discografiche che consiglio vivamente a chiunque di cercare e di ascoltare con attenzione, perché dentro c'è tutto il mondo incredibile di Leo Boni

Crocicchio (Babbeo Records- 2001)

Sogno Toscano (Babbeo Records- 2011)

The Ring (Redcat Music- 2020)


La foto della chitarra di Leo Boni è di Giuliana Monti

Le foto della Juke Joint Band e di Roberto Uggiosi sono dell'autore

martedì 5 aprile 2022

My Best Of 2021


 Non è stato, a mio avviso e per gli ascolti che ho fatto, un anno particolarmente ricco di grandi dischi; molti buoni dischi ma pochi quelli che veramente posso considerare album che resisteranno agli ascolti nel tempo, però tra questi che ho inserito sicuramente alcuni ci sono.

Ho infatti atteso molto per pubblicare questa mia lista, visto che siamo ad Aprile e normalmente ogni anno la pubblico al massimo a Gennaio.

Comunque questi sono, a mio personale gusto, i dischi che ho preferito dell'anno trascorso, ovviamente non in ordine di preferenza:


THE J. & F. BAND- Me And The Devil

CHRISTONE "KINGFISH" INGRAM- 662

CURTIS SALGADO- Damage Control

TEDESCHI TRUCKS BAND- Layla Revisited

LOVESICK DUO- All Over Again

JASON ISBELL & 400 UNIT- Georgia Blue

GOV'T MULE- Heavy Load Blues

THE BROTHERS- March 10, 2020 Madison Square Garden

CEDRIC BURNSIDE- I Be Trying

THE BLACK KEYS- Delta Kream

LUCINDA WILLIAMS- Lu's Juke Box Serie

SILK SONIC- An Evening with Silk Sonic

THE ALLMAN BROTHERS BAND- Down In Texas '71

MUDDY WATERS- The Montreaux Years

JAMES McMURTY- The Horses And The Hounds

THE BLACK PUMAS- Capitol Cuts (Live From Studio A)

SELVYN BIRCHWOOD- Living In A Burning House

CHRIS CAIN- Raisin' Cain

JOHN PAUL KEITH- The Rhythm Of The City

mercoledì 9 marzo 2022

Muddy Waters- Electric Mud (1968)

"Electric Mud" fu il quinto album inciso da Mississippi Muddy Waters. registrato nel Maggio del 1968 e pubblicato nell'Ottobre dello stesso anno, fu il tentativo a mio avviso riuscitissimo, di unire il Blues alla Psichedelia che tanto andava in quegli anni pieni di cambiamenti, sociali e musicali.

Anche il cinema in quell'anno proponeva cose che rompevano un po gli schemi fino ad allora vigenti, tanto che persino un attore come Steve McQueen interpretò il ruolo di un detective, Frank Bullitt, nel film "Bullitt" di Peter Yates, detective piuttosto anticonformista che si muoveva all'interno di fumosi locali jazz in una San Francisco che recepiva quei cambiamenti storici in maniera perfetta.

Marshall Chess, fondatore dell'etichetta "Chess Records", label per cui incideva Muddy, ebbe l'idea di avvicinare il musicista ai più giovani, giusto per fargli guadagnare qualche soldo in più, visto che il Blues a quell'epoca non è che rendesse molto in termini economici.
In precedenza Chess aveva fondato un'etichetta satellite, che aveva chiamato "Cadet Concept Records", il cui primo album pubblicato era stato l'omonimo album di debutto dei Rotary Connection , una band psichedelica, il secondo fu appunto "Electric Mud"; per pura curiosità il terzo album pubblicato dall'etichetta fu l'album di debutto degli Status Quo "Picturesque Machtstickable Messages".
Per incidere l'album di Muddy, Marshall Chess radunò i più fighi musicisti "Jazz-Rock" sulla piazza in quel momento a Chicago : Gene Barge , Pete Cosey , Roland Faulkner, Morris Jennings , Louis Satterfield , Charles Stepney e Phil Upchurch.
Inserì pedali wha-wha e fuzzbox ed arricchì il suono di organo elettrico e sax.
Non era assolutamente un tentativo di fare di Muddy Waters un artista psichedelico, bensì quello di costruire una specie di concept album, per fargli guadagnare popolarità verso i più giovani ed, appunto, qualche soldo in più.


Anche la cover di "Let's Spend The Night Together", incisa l'anno precedente dai Rolling Stones, fece spalancare la bocca agli integralisti del genere, visto che la versione di Waters, cantata in stile Gospel/Soul, risentiva molto delle influenze di band, come i Cream o la Jimi Hendrix Experience ad esempio, che andavano per la maggiore in quel momento.
Addirittura l'ipnotico, ossessivo, quasi un sabba "She's Alright", contiene al termine di un delirio psichedelico, un accenno, che parte dal giro di basso seguito dalla chitarra, a quella "My Girl", incredibile successo dei Temptations di tre anni prima.

I puristi del Blues storsero il naso ma loro lo storcono immediatamente, non appena si esce dai consueti canoni e Muddy stesso, in seguito, lo ripudiò ma il risultato fu sorprendente.
Il problema fu che Muddy Waters aveva suonato l'album in studio con una band che non era la sua, per cui risultava praticamente impossibile riprodurre quelle sonorità psichedeliche dal vivo, a meno che non avesse sostituito completamente i sui musicisti con quelli che avevano inciso l'album.
Il disco fu all'epoca uno dei dischi più venduti di Muddy Waters ma l'accoglienza fu decisamente migliore in Inghilterra, molto più aperti nei confronti delle contaminazioni, che in USA.
Ovviamente guardato con gli occhi di un purista, soprattutto all'epoca, il disco poteva apparire addirittura blasfemo ma, visto ed ascoltato senza pregiudizi, il disco è bellissimo e addirittura seminale, tanto che influenze dello stesso si possono benissimo ritrovare negli anni a seguire nei Rolling Stones, nei Led Zeppelin, fino ai giorni nostri, in band come i Black Keys.