venerdì 27 dicembre 2019

Dead Kennedys Discoteca "Quasar" di Perugia, 9 Ottobre 1981

Era il 1981 ed il Punk, arrivato in ritardo qui da noi quando in Inghilterra era già praticamente finito, aveva scosso le cantine delle nostre province, con il concerto di Bologna dell'anno precedente, ribadito con un breve tour proprio in quel 1981, dei Clash.
In USA invece, il Punk californiano aveva iniziato a sparare le proprie cartucce migliori ed il colpo dell'anno precedente, con l'album di esordio dei Dead Kennedys, denominazione sconvolgente almeno per gli Stati Uniti, era stato di quelli davvero fragorosi.
Il loro album di esordio, "Fresh Fruit For Rotting Vegetables" aveva tutte ma proprio tutte le carte in regola per diventare un vero e proprio classico del genere, come poi in verità è accaduto.

Le varie fanzine dell'epoca avevano annunciato un breve tour di tre date nel nostro Paese, Roma, Perugia e Gorizia, per quell'inizio di ottobre ed io non avevo nessunissima intenzione di mancare ad uno di quei tre concerti.
La data a me più vicina era ovviamente quella di Perugia così, assieme al mio fidato amico dell'epoca Piero, con cui avevo già condiviso svariati concerti, ci mettemmo in macchina in quella tiepida giornata di inizio autunno. Ricordo ancora benissimo com'ero vestito quel giorno, camicia di jeans, jeans ed un semplice paio di scarpe da ginnastica, abbigliamento assolutamente non da punk, in quanto in verità non ho mai amato travestirmi per andare a vedere un concerto, nemmeno da ragazzo.
Anche la macchina con cui ci avviammo a percorrere quei 170 chilometri che ci separavano da Perugia, non era assolutamente un mezzo di fortuna, bensì la mia fiammante "Alfetta 2000", macchina che mettemmo a dura prova per la paura di arrivare in ritardo all'appuntamento. Bisogna ricordare che all'epoca le leggi sui limiti di velocità erano praticamente un optional e si transitava sulle autostrade a velocità adesso impensabili; tanto che impiegai poco più di un'ora, un'ora ed un quarto per arrivare di fronte al locale, con un impietrito Piero che non profferì sillaba durante il viaggio, ricordo solamente un "..ovvia, si parte!" ed un sospiro di sollievo una volta arrivati!

Parcheggiamo nei pressi del locale, praticamente di fronte e, la cosa che mi stupì, fu il locale stesso.
La Discoteca "Quasar" era enorme, una specie di agglomerato di edifici tutti attaccati assieme, con una grande scalinata esterna che portava all'ingresso del locale stesso.
Anche l'interno non mancò di stupirmi, era infatti una tipica grande discoteca, per niente adatta, questo pensai, ad un evento come quello a cui stavamo per assistere.
Il palco era praticamente posizionato non molto alto e c'erano dei gradoni che conducevano ad esso.
Non ho foto del concerto, per cui vado abbastanza a memoria, aiutato però dalla registrazione del concerto stesso.
Non c'erano le transenne ed anche questo, ricordo, non mancò di stupirmi.
Il servizio di sicurezza consisteva praticamente negli addetti del locale e, ricordo ancora, non mi parve numeroso.

Nessun gruppo spalla, in seguito seppi che Jello Biafra lo avrebbe chiesto agli organizzatori della serata, durante la giornata stessa ma, pur avendo chiesto a qualche gruppo locale, nessuno se la sentì di salire sopra prima dei Dead Kennedys e questo, con il senno di poi, fu decisamente un bene.

La band salì sul palco ed attaccò subito con una anfetaminica e quasi irriconoscibile "Man With The Dogs", retro del singolo "California Uber Alles" e, già dal primo brano capimmo subito a che tipo di concerto avremmo assistito; suoni ad un volume devastante, ai limiti della distorsione e ritmi quasi spiritati.
Praticamente attaccata alla precedente partì "When Ya Get Drafted".
Jello si era già tolta la t-shirt ed attaccò "In-Sight", altro retro del secondo singolo "Kill The Poor".
Il quarto brano fu un brano all'epoca ancora inedito, era infatti "Well Paid Scientists" che sarebbe stato poi incluso nell'album dell'anno successivo "Plastic Surgery Disasters" ma a quel punto non faceva più nessunissima differenza tra brani conosciuti o meno, il mood della serata era delineato: brani sparati a raffica ad una velocità pazzesca, della durata di uno, al massimo due minuti, cosa questa che i numerosissimi punks presenti (sui vari abbigliamenti di questi ultimi potrei fare un capitolo a parte) parevano gradire.
"Nazi Punks Fuck Off" annunciata e sparata sul pubblico ebbe il potere di scatenarlo.
I ragazzi iniziarono a salire sul palco, data anche l'estrema facilità con cui potevano farlo, vista la totale assenza di barriere, iniziando a ballare assieme a Jello, ad abbracciarlo ed a cercare di strappargli il microfono di mano.
Un minuto e mezzo di "Your Emotion" e poi il delirio; annunciato con un "We got a bigger problem now!", partì il loro anthem, "California Uber Alles" e, rammento benissimo, aver visto il palco praticamente pieno di gente, con Jello che cercava disperatamente di riuscire a portare a termine il brano, sparendo e riapparendo tra la massa di gente. Brano comunque, nonostante le evidenti difficoltà di esecuzione, suonato con una potenza devastante, in grado, rammento che pensai, di smuovere una montagna.

Al termine del brano Jello Biafra stesso cercò di riportare la calma, chiedendo più volte "Ok...back off the stage!".
Era incredibile, totalmente incredibile, lo spettacolo che avveniva davanti ai nostri occhi ed entrava nelle nostre orecchie; quella discoteca, abituata sicuramente ai suoni della disco-dance, che ospitava un rito tribale punk come quello a cui stavamo prendendo parte.
"Halloween" interrotta a metà, con il pubblico in platea che mandava a quel paese tutti gli altri, numerosissimi,che stavano sopra e che non avevano assolutamente intenzione di scendere, anzi pareva che avessero decisamente intenzione di portarsi Jello Biafra e qualche altro ricordino della serata, direttamente a casa!
"Holiday In Cambodia" meravigliosa ed ancora uno stop. Salì su anche uno degli organizzatori della serata che spiegò che i Dead Kennedys Stessi non avevano voluto ne transenne, ne servizio d'ordine, perchè non volevano nessuna barriera tra loro ed il pubblico ma che però, se la gente non fosse scesa da la sopra, sarebbe stato impossibile continuare.

"Kill The Poor", "Too Drunk To Fuck", "Chemical Warfare" ed una incredibile "Viva Las Vegas" concludevano il concerto.
Io e Piero ci guardammo increduli e stremati, pur essendoci tenuti a debita distanza da tutto quel casino.
Rammento che facemmo il viaggio di ritorno con estrema calma, senza nemmeno mettere su una cassetta, avevamo le orecchie letteralmente devastate da quei suoni, decidemmo però che quello che avevamo appena visto sarebbe stato un concerto che avremmo ricordato a lungo.
Sono passati ben trentotto anni e lo racconto soltanto adesso, per cui quella profezia fu azzeccata.

Jello Biafra, intervistato in seguito dalla fanzine ""TVOR" (Teste Vuote Ossa Rotte), dichiarò che agli inizi degli anni '80 la scena Punk italiana era considerata il top a livello europeo, seconda solo a quella inglese e che lui stesso possedeva dischi dei Tampax di Pordenone, Dei Raw Powers e dei Fall Out di La Spezia e che ricordava i concerti di Perugia e di Roma come tra i migliori che avesse mai fatto.


Adesso, da quanto leggo, la "Discoteca Quasar" non esiste più, dopo essere rimasta per molti anni rifugio per senzatetto e tossici vari. Al suo posto hanno costruito un centro commerciale, credo però che ogni tanto, nei corridoi di quel nuovissimo centro che dice chiamarsi "Quasar Village", risuoni un grido che fa... California Uber Alles! e che qualche mamma con passeggino, assieme a qualche marito annoiato, abbia un brivido lungo la schiena.



mercoledì 18 dicembre 2019

My Best Of 2019



Il 2019 è stato un anno molto ricco di buone, a volte buonissime, uscite discografiche, nessun capolavoro, se alla parola capolavoro si vuol dare il significato che merita ovviamente, però molti ottimi dischi.
Come sempre, anche se i modi per poter fruire musica al giorno d'oggi non mancano, resta piuttosto difficile poter ascoltare tutte le numerosissime uscite discografiche, anche se ovviamente cerco di tenermi il più aggiornato possibile soprattutto sulle novità.
Questi, non in ordine qualitativo, tra quelli ascoltati sono quelli che ho preferito.

CHRISTONE "KINGFISH" INGRAM- Christone "Kingfish" Ingram
BRUCE SPRINGSTEEN- Western Star
BLACK PUMAS- Black Pumas
THE TESKEY BROTHERS- Run Home Slow
THE DELINES- The Imperials
THE ALLMAN BETTS BAND- Down To The River
TEDESCHI TRUCKS BAND- Signs
JIMMIE VAUGHAN- Baby, Please Come Home
ERIC GALES- The Bookends
WALTER TROUT- Survivor Blues
MICHAEL KIWANUKA- Kiwanuka
MERCURY REV- Bobby Gentry's The Delta Sweetie Revisited
RODNEY CROWELL- Texas
PURPLE MOUNTAIN- Purple Mountain
THE RACONTEURS- Help Us Strangers
MAVIS STAPLES- We Get By
REESE WYNANS AND FRIENDS- Sweet Release
JEFF LYNNE'S ELO- From Out Of Nowere
NATIVE HARROW- Happier Now
THE ALLMAN BROTHERS BAND- Fillmore West '71
BILL CALLAHAN- Shepard In A Sheepskin Vest
SAMANTHA FISH- Kill Or Be Kind
GARY CLARKE JR.- This Land
SUGARRAY RAYFORD- Somebody Save Me
STEVE GUNN- The Unseen In Between
KEB' MO'- Oklahoma
J. J. CALE- Stay Around
BUFORD POPE- The Waiting Game
IAN NOE- Between The Country
KEITH RICHARDS- Talk Is Cheap (30th Anniversary 2CD Deluxe Edition)
ROBERT RANDOLPH & THE FAMILY BAND- Brighters Day
THE WHO- The Who
TOWNES VAN ZANDT- Sky Blue

CONCERTI:

THE SHEEPDOGS- Parma "Campus Industries" 14/02
ROBERT RANDOLPH & THE FAMILY BAND- Torrita Blues 21/06
ERIC GALES- Pistoia Blues Festival 07/07
ERIC GALES- Castro Dei Volsci (FR) "Music Under The Rocks" 21/07
ZZ TOP- Irvine CA (USA) "Fivepoint Amphitheater 23/08


mercoledì 11 dicembre 2019

Eric Burdon-Brian Auger Band live 1991

Era l'edizione del 1991 del "Pistoia Blues Festival" e la conclusione, di quella edizione di soli due giorni, fu affidata ad una coppia di artisti che proprio in quel periodo girava assieme in un tour mondiale e che aveva pubblicato un doppio cd inciso dal vivo a Solana Beach, California, dal titolo "Acces All Areas".
Gli artisti in questione erano due pesi massimi della scena rock a partire dagli anni '60, Eric Burdon e Brian Auger e la denominazione della band era semplicemente quella di Eric Burdon-Brian Auger Band.
Per Auger era la sua seconda volta al Festival toscano, dopo la sua apparizione nell'edizione del 1983, mentre per il grande Eric Burdon era la sua prima volta assoluta.
Eric Burdon, nato a Newcastle Upon Tyne nel 1941, noto per essere stato il cantante e leader di una delle band più importanti della famosa "British Invasion" degli anni '60, The Animals, band di electric rock-blues, formatasi dopo lo scioglimento dell'Alan Price Combo.
Quasi impossibile ricordare tutti i successi del gruppo, diventati negli anni dei veri e propri classici della musica moderna, basti per questo ricordare brani come "The House Of The Rising Sun", "Don't Let Me Be Misunderstood", We Gotta Get Out Of This Place" e "Don't Bring Me Down"


Successivamente dopo una parentesi, successiva al 1966, in cui cambiarono denominazione in Eric Burdon and The Animals, il cantante, nel 1968 epoca in cui viveva a San Francisco, California, si unì ad una celebre band funk californiana, The War .

Il risultato di questa unione, una stupenda contaminazione di rock psichedelico e funk, erano infatti anni di sperimentazioni su tutti i livelli, sia musicali che personali, furono i due albums usciti, il primo dei quali, "Eric Burdon Declares War" uscito nel 1970, un autentico capolavoro, contenente i singoli "Spill The Wine" e "Tobacco Road".
In Seguito, nel 1971, si unì al bluesman Jimmy Witherspoon, assieme al quale partorì il discreto album dal titolo "Guilty".A partire dal 1974, prima con la Eric Burdon Band con la quale incise tre LP e poi da solista, continuò una carriera che non riuscì però a toccare le vette di successo toccate negli anni precedenti, soprattutto quelle raggiunte assieme agli Animals.
Cantante comunque dotato di grande voce e grandissima personalità, capace di essere riconoscibile alla prima nota, come avevo avuto già modo di appurare durante un suo concerto, a cui avevo assistito, al Teatro Apollo di Via Nazionale a Firenze, Teatro che ad oggi non esiste più, nel 1984.
Va ricordato anche che l'ultima apparizione pubblica di quello che personalmente considero il più grande chitarrista di tutti i tempi, vale a dire Jimi Hendrix, avvenne proprio durante una jam session con Eric Burdon and The War, durante un loro concerto al "Ronnie's Scott Club" di Londra il 16 Settembre 1970. Appena due giorni dopo infatti, Jimi scomparse tragicamente.

La sera del 6 luglio di quell'anno, approdarono appunto nel backstage del Pistoia Blues dove, come sempre, svolgevo la mansione di responsabile della security del Festival.
Al loro arrivo, dopo aver salutato un sempre cordialissimo Brian Auger, che conoscevo dai tempi dei suoi concerti al Piper di Viareggio nei primissimi anni '70, mi resi conto  immediatamente e con estrema preoccupazione, che il buon Eric Burdon aveva indubbiamente esagerato con il bere, era insomma, come suol dirsi, piuttosto alticcio!
Parlava e scherzava con tutti quelli che lo avvicinavano. Io cercai, per contro, di tenerlo il più possibile a parlare con me, per evitare che combinasse danni, visto che poco prima, mentre era da solo, aveva cercato di mettersi a sedere su di una ringhiera in ferro, all'interno del palazzo comunale , rischiando peraltro di cadere all'indietro e lo avevo ripreso proprio io, facendo un balzo di un paio di metri.
Brian Auger invece non pareva preoccuparsene troppo ed appariva al solito il simpatico personaggio di sempre. In un momento, in cui con gli occhi tenevo sempre sotto controllo il cantante, che adesso si era messo seduto tranquillo su di una sedia, gli rammentai di quando, proprio al Piper 2000 di Viareggio nell'estate del 1972, prima di un suo concerto, lo aiutai a far entrare il suo pesantissimo Hammond nella strettissima porta laterale che dava accesso all'interno del locale; avevo solo sedici anni e quella era la pratica che usavo per avere un biglietto omaggio per lo spettacolo, l'ingegno di un giovanissimo appassionato di musica di allora.

Brian, che parla da sempre piuttosto bene la nostra lingua, ricordava perfettamente sia il locale, dove si era esibito in più di un'occasione, sia l'episodio.
Brian Auger può, senza ombra di dubbio, essere considerato il re dell'Hammond inglese; esordì nel 1965 con una band chiamata Steampacket, con cui si esibiva anche la vocalist Julie Driscoll, assieme alla quale fondò poco dopo Brian Auger and The Trinity, che partorirono successi come ""Save Me", ""This Wheels On Fire" e "Road To Cairo".
Nel 1970 fondò The Oblivion Express, con cui gira ancora ed incide dischi.

La formazione con cui si presentarono in quella serata al Pistoia Blues Festival comprendeva, oltre ai due big, Larry Wilkins alla chitarra, Dave Meros al basso ed il figlio di Brian, Karma Auger alla batteria.
L'inizio del set mi lasciò piuttosto perplesso in quanto, soprattutto sui due brani iniziali, "Don't Bring Me Down" e "Don't Let Me Be Misunderstood", Eric non ne azzeccò praticamente una!
Ci pensò però Brian, che indossava una vistosissima camicia  nera con giganteschi fiori gialli, a raddrizzare la baracca, con le sue tastiere.
Al termine di questi due brani Eric, visibilmente alticcio, si fermò ed iniziò a guardarsi attorno, come a voler cercare qualcosa; capìì immediatamente che stava cercando il suo campanaccio con relativa bacchetta, attrezzo che si era preparato prima di salire sul palco ma che si era dimenticato nel backstage, dove infatti lo avevo visto pochi minuti prima. Feci appena in tempo a correre nel camerino per prenderlo e, mentre stavo salendo le scalette che portavano al palco, per porgerlo ad uno dei tecnici, sentìì la sua voce che dal microfono mi chiamava: " SElvano... SElvano please...where is my cowbell?"
Quando vide che me ne stavo li dietro con il suo campanaccio in mano, mi chiamò addirittura accanto a se per consegnarglielo, ringraziandomi, con mio totale e comprensibile imbarazzo!
Fortunatamente la band ripartì immadiatamente con il brano successivo ed il loro set, piano piano, riprese quota ed anche Eric tornò a controllare la situazione che, quell'inizio, aveva reso incerta.
La band macinava un rock che non andava troppo per il sottile ma, complessivamente, fu un buon concerto, trascinante, con  classici quali " We Gotta Get Out Of This Place", "When I Was Young", "Tobacco Road", "Bring It On Home To Me" e, ovviamente" "The House Of The Rising Sun" , che conquistarono abbastanza facilmente la numerosa platea.
Rividi Eric Burdon nel 2005, sempre a Pistoia ed in quell'occasione, accanto alla giovane moglie che fungeva anche da tour manager, lo trovai completamente ripulito da ogni eccesso ed anche in quell'occasione, la sua incredibile voce, non mancò di regalare emozioni

sabato 4 maggio 2019

Eric Clapton un giorno a Bologna nel 1998

Come oramai chi mi segue su queste pagine sa benissimo, il mio lavoro mi ha portato a volte in situazioni che, quando ero un semplice ragazzino innamorato della musica, avrei potuto soltanto sognare.
Pensate che, già dall'età di dieci anni, sognavo di diventare un musicista apprezzato e, nella mia cameretta, da solo, accendevo lo stereo, mi mettevo al centro della stanza, imbracciavo la mia "riga a T" ed a volte diventavo un chitarrista (Jimi, Eric, Jeff, Carlos, Pete), altre volte, imbracciando la mia "Riga a T" più in basso, divenivo un bassista.
Rammento ancora l'imbarazzo quando, a volte, mia Mamma apriva all'improvviso la porta, per venire magari a prendere qualcosa in camera mia e mi trovava con le cuffie intento a roteare il braccio destro a mo' di Pete Townshend; ricordo però benissimo anche il suo indimenticabile e dolce sorriso, che mi faceva immancabilmente capire che non stavo facendo assolutamente nulla di sbagliato ma, anzi, davo corpo ai miei sogni, cosa questa che, una mente aperta come quella di mia madre, non poteva che apprezzare.
Il destino volle però che questa mia voglia di diventare musicista fosse appagata solo in parte, infatti per un periodo della mia vita suonai la batteria, togliendomi persino qualche soddisfazione; questo però è un altro capitolo della mia vita che, magari, aprirò un'altra volta.
Le Arti Marziali assorbirono la mia esistenza, sempre accompagnate dall'amore per la musica però e fu così che le mie velleità di diventare una rockstar furono accantonate.
Non sarei salito su di un palco come rockstar dunque ma vi sarei salito in un'altra veste, quella di accompagnarvi sopra loro, le rockstars appunto.

Ne ho accompagnate su a centinaia e, spesso, sono riuscito a carpire, grazie al mio amore per quel mondo ed al mio spirito di osservazione, le sensazioni che stavano provando al momento di salire su.
Ne ho carpito i tic, ho letto nei loro sguardi ed ho vissuto accanto a loro il boato del pubblico presente, al momento che si spengono le luci, in quell'interminabile ed eccitante istante che precede il salire quei pochi scalini che precedono l'entrata in scena.
Ho vissuto anche il prima ed il dopo dei loro spettacoli ed a volte sono accadute cose ai limiti dell'incredibile, come quella che sto per raccontarvi.
Era il 1998 e più precisamente il 23 Ottobre; eravamo a Bologna, all'allora "Palamalaguti", per il concerto di Eric Clapton, durante il suo "Pilgrim Tour", tour che accompagnava l'uscita del suo album "Pilgrim", un album criticato ma che a me era piaciuto molto,soprattutto perchè avevo trovato che, in quella occasione, Eric aveva curato molto le parti vocali, alzando di parecchio la sua asticella come cantante.
Nei tunnel che portavano al backstage mi ero già piacevolmente intrattenuto a chiacchierare con la stupenda Bonnie Raitt, che avrebbe aperto il concerto e subito dopo mi avviai verso il camerino di Eric Clapton, dove il chitarrista si stava intrattenendo assieme al bassista della sua band, Nathan East e, per rilassarsi prima del loro set, stavano giocando una partita a calcio balilla.
Eric era molto composto nel giocare, un po come quando suona la sua chitarra, con quell'eleganza nei modi, tipicamente inglese, mentre Nathan era più eccitato e si spostava da una manopola all'altra alla velocità della luce.
Io, dalla porta aperta del camerino, dove mi ero piazzato per controllare la situazione, mi divertivo a vederli così tranquilli e divertiti.
All'improvviso arrivò un tizio dello staff che richiamò l'attenzione di Nathan, non capìì bene cosa gli disse, anche perchè anch'io stavo parlando con una persona ma, da quanto potei capire, qualcuno desiderava parlare con lui. Così il bassista, scusandosi con Eric lasciò la sua postazione ed uscì.
Inrociai lo sguardo di Clapton, rimasto solo, che con un gesto della testa ed un sorriso, mi invitò a prendere il posto del bassista.
Abbastanza sbalordito dalla inaspettata richiesta presi posto a calcio balilla (non si può oggettivamente dire no grazie ad Eric Clapton) e, come il chitarrista lanciò la pallina, nella stanza entrò Paolo Rossi, si proprio il Paolo Rossi, il campione del mondo di Madrid 1982, amico di Eric Clapton , venuto ad vedere il concerto bolognese e passato dal camerino per salutarlo.
Fu così che, davanti allo sguardo di Paolo Rossi, segnai ad uno sbigottito Eric Clapton uno dei più fantascentifici goal della mia vita; un "gancio" fulminante che fece tuonare il legno dietro la sua porta!
Fortunatamente subito dopo ritornò Nathan East al quale lasciai immediatamente il posto, con il grande Clapton che ancora stava guardando l'interno della sua porta.
Piccole storie, insignificanti per loro ma che resteranno nella mia memoria per tutta la mia vita.

Il concerto fu qualcosa di stupendo, come i concerti di Eric Clapton sanno essere, in qualsiasi epoca vengano vissuti. Adoro il suo modo di suonare la chitarra da sempre.
Rammento una "Old Love" che mi strappò le budella, una bella parte blues con "Crossroads" e "Have You Ever Loved A Woman" ed un bel finale, dove salì sul palco anche Bonnie Raitt ed assieme suonarono "Shake It Up".

giovedì 4 aprile 2019

Muddy Waters

Oggi, esattamente 106 anni fa nel 1913, nasceva a Rolling Fork, capoluogo della contea di Sharkey nel Mississippi, McKinley Morganfield, meglio conosciuto come Muddy Waters.
Non starò certo ad annoiarvi con l'ennesimo racconto della sua avventurosa vita, o con la recensione della sua lunga discografia ma vi racconterò un piccolo episodio del mio unico incontro con uno dei riconosciuti Maestri del blues.
Eravamo al primo leggendario Pistoia Blues Festival, nell'oramai lontano 1980, nella centralissima Piazza Duomo.
Ricordo che vidi le tre giornate del Festival seduto a terra in mezzo alla piazza, con davanti a me un enorme radio registratore, di quelli che andavano molto di moda in quegli anni e che venivano chiamati "ghetto blaster", a cui avevo attaccato due microfoni e con il quale mi registrai l'intero Festival.L'atmosfera era assolutamente informale e, grazie anche alla quasi totale assenza di un vero servizio d'ordine che controllasse il tutto, non era così difficile arrivare nel backstage, cosa che infatti feci a più riprese.
C'è da dire però che, a differenza dei giorni nostri c'era un maggior pudore e maggior rispetto verso la privacy degli artisti che si erano appena esibiti o che stavano per farlo, quasi a non volerli disturbare.
Si era appena esibito Fats Domino, un'altra leggenda e prima di lui  Mighty Joe Young che all'epoca ancora non conoscevo e che mi aveva letteralmente lasciato a bocca aperta, tanto da farmi esclamare all'amico che era seduto accanto a me che mi sembrava che Mighty Joe avesse messo dell'olio sul manico della sua chitarra Gibson, tanto il suo fraseggio appariva sciolto.Mi alzai dalla mia postazione e mi avviai verso il backstage intenzionato ad incontrarlo, per potergli anche soltanto fare i complimenti, quando rimasi letteralmente bloccato, visto che a pochi metri da me c'era Muddy Waters con la sua meravigliosa Fender Telecaster del 1957, che aveva portato con se anche al Newport Jazz Festival, quella chitarra che lui chiamava "The Hoss" e che si può ammirare al "Rock And Roll All Of Fame".
Muddy era li in attesa di  salire sul palco, mentre la sua strepitosa band stava suonando i brani che avrebbero introdotto il mito ed io ero li a pochi metri da lui che lo guardavo imbambolato. Lui si girò, con un ghigno sul volto che non prometteva niente di buono, mi guardò ed io non trovai di meglio da fare che fargli "ciao, ciao" con la mano. Il suo ghigno si sciolse in un sorriso e fece quei cinque passi che lo dividevano da me tendendomi la mano. Mano che strinsi sorridendogli.Lo lasciai immediatamente all'attesa di salire su, senza disturbarlo ulteriormente e tornai a sedere al mio posto, raccontando al mio amico l'accaduto.
Per inciso Daniele, era il suo nome, non ha mai creduto a tutto ciò.

In seguito, dopo molti anni, sono stato a Clarksdale, Mississippi a visitare il luogo dove Muddy ha vissuto per molti anni, i primi trenta della sua vita, presso lo Stowall Plantation ed il brivido che ho provato è stato pari a quello di quando gli strinsi la mano in quel lontano 15 luglio del 1980.

mercoledì 30 gennaio 2019

Al mercato con ROBERT PLANT- Pistoia Blues Festival 1993

Era l'edizione del 1993 del prestigioso Pistoia Blues Festival, annata dal cartellone piuttosto ricco che vedeva, accanto a grossi nomi del blues, come R.L. Burnside, Honeyboy Edwars, Little Milton, James Cotton, Johnny Mars, Denise LaSalle, Latimore e Jeff Healey,  anche due nomi leggendari del rock, due che avevano fatto la storia con le rispettive band i Cream ed i Led Zeppelin.
Si trattava infatti di Jack Bruce, storico bassista dei Cream e del leggendario cantante dei Led Zeppelin appunto, Robert Plant.
Plant, che chiuse la seconda serata di quella edizione del Festival toscano, già allora rappresentava una delle vere e proprie leggende viventi che arrivava per la prima volta sul palco del Pistoia Blues.
Quando andai a prelevarlo dall'auto con cui arrivò, ero infatti il responsabile della security del Festival, come lo sono ancora oggi, notai immediatamente che il biondo cantante non aveva assolutamente perso il fascino che emanava in quel periodo che andava dalla fine anni '60, alla seconda metà degli anni '70 in cui cantava ancora con gli Zep.
I capelli erano ancora molto lunghi e gli scendevano sulle spalle in lunghi boccoli biondi ed il suo fisico era scattante, nonostante all'epoca avesse già 45 anni, che dimostrava soltanto per qualche piccola ruga che segnava il suo volto.
Si dimostrò subito un personaggio particolarissimo, che non aveva per nulla perso il suo atteggiamento un po' da hippy ed un po da rockstar distratta e molto alla mano, chiedendo immediatamente al suo tour manager, una volta arrivato nel backstage e sistemato le sue cose in camerino, di poter andare a visitare l'allora celebre mercatino che si teneva nelle strade adiacenti alla piazza dove si sarebbe tenuto lo show. Mercatino allora ricchissimo di banchi di artigiani e di banchi di abbigliamento e mercanzia tardo hippy, che lui aveva intravisto arrivando con la macchina e che lo aveva immediatamente conquistato.
Sconcerto immediato da parte del povero tour manager, il quale mi chiamò immediatamente e, preoccupatissimo, mi chiese se avessi avuto una qualche idea in merito sul come esaudire questa bizzarra richiesta della rockstar, senza che questo suo desiderio imprevisto avesse potuto combinare un putiferio.
Considerate che quelli erano tempi totalmente diversi da quelli attuali e gli artisti, pur se di presa enorme come quella dell'ex leader di una band come i Led Zeppelin, arrivavano nei luoghi dei concerti praticamente senza staff al seguito, senza sicurezza personale ma affidandosi alla security locale e  con al seguito solo un tour manager locale.
Si trattava insomma di portare Robert Plant in un affollatissimo mercatino di fricchettoni, prima del suo concerto, per vedere i banchi e, magari, acquistare pure qualcosa.
Non mi persi d'animo e dissi al preoccupatissimo manager di non allarmarsi, che avrei pensato a tutto io.
Fornii a Plant un enorme paio di occhiali da sole dalle lenti scurissime e lui, una volta indossati, si mise a mimare l'atteggiamento di un non vedente, con le braccia protese in avanti, come a cercare una direzione dove andare, gli fornii inoltre un cappellone di quelli colorati, tipo rasta, che lui indossò, nascondendo la sua enorme capigliatura bionda al suo interno, cosa questa che gli fece diventare la testa enorme tanto che, una volta specchiatosi ed essendo vanitoso come una vera e propria diva, decise che non si piaceva e se lo tolse immediatamente, dimostrandosi impaziente di partire alla volta del mercato.
Chiamai allora con me Tommy, uno dei miei più fidati ragazzi della security e gli imposi di aprirci la strada, camminando, con passo tranquillo, un paio di metro davanti a Plant dietro al quale, sempre ad un paio di metri di distanza, mi sarei posizionato io, attentissimo a qualsiasi cosa si fosse mossa nei suoi paraggi.
Ci avviammo così finalmente in direzione mercatino.
C'era davvero un sacco di gente e si camminava lentamente. Robert era interessatissimo alle varie bancarelle e si soffermava a guardare le cose che vi erano esposte con grande interesse.
Stranamente e fortunatamente aggiungo, nessuno pareva riconoscerlo; del resto chi avrebbe potuto pensare di vedere una rockstar di quella portata in giro, poco prima di salire sul palco, per le strade della città, apparentemente da solo? Tutti insomma passavano accanto a questo ragazzone dai lunghi capelli biondi raccolti in una coda, senza degnarlo della minima attenzione.
Robert acquistò un pareo bianco e nero ed un narghilè.
Soltanto la ragazza dietro il banco, al momento di incassare i soldi dal cantante, lo guardò aguzzando lo sguardo e poi immediatamente guardò me, che ne frattempo mi ero avvicinato a lui, facendo un'espressione come a chiedermi se davvero quel tipo che gli aveva dato le banconote ed al quale si apprestava a dare il resto, fosse veramente  "lui". Io feci un cenno impercettibile di si con la testa e mi portai l'indice vicino alla bocca sibilando un "ssshhhhhh...!!!"
Lei alzò gli occhi al cielo e disse piano che avrebbe messo quelle banconote in una cornice!

Una volta compiuto il giro desiderato dall'artista, ci incamminammo verso l'accesso della piazza, da uno degli ingressi più vicini, che altro non era che l'ingresso principale da dove entrava il pubblico, per rientrare nel backstage, visto che da li a non molto Plant sarebbe dovuto salire sul palco per il suo concerto.
Camminavamo esattamente come quando eravamo partiti, con Tommy un bel po più avanti di Robert, che era totalmente incuriosito da tutto quello che vedeva e, un po più indietro io, che cercavo di non farmi vedere per non insospettire la gente che si avviava verso l'ingresso.
Una volta arrivati davanti alla porta presidiata dalla nostra security e dai Carabinieri, Tommy entrò, convinto di avere dietro di se Plant, mentre questi si era un po attardato e, quando si presentò, i Carabinieri, lo bloccarono immediatamente, assieme ai cani dell'antidroga che iniziarono subito ad annusarlo ,probabilmente  insospettiti da questo personaggio; dovetti perciò urlare ai Carabinieri stessi che il tipo era assieme a me e che sarebbe potuto entrare anche senza biglietto, cosa che accadde immediatamente visto che, pensate a quanto possa essere incredibilmente buffa questa cosa, godeva del mio lasciapassare!
Situazione davvero comica, di cui rido ancora ogni volta che ci penso. Roba che, pensai, un giorno racconterò ai nipoti.

Sul palco Robert Plant incarnò alla perfezione quello che era stato e che era ancora, iniziando con una incredibile "Ramble On", che ci riportò immediatamente all'era Zeppelin, band della quale, in quella occasione, ripropose molti brani, oltre a quelli di quello che era il suo ultimo album in ordine di uscita, risalente al maggio dell'anno precedente, vale a dire "Fate Of Nation".
Inutile dire che sulla finale "Whole Lotta Love" ci fu un vero e proprio tripudio, andai infatti a riprenderlo dal palco e, mentre scendevamo le scalette, potei percepire la grande eccitazione di tutto il numeroso pubblico presente.
Un altra curiosità fu che al termine del suo concerto, davanti al suo camerino, chiesi a Robert di scattarmi una foto assieme a lui; ovviamente acconsentì ma mi disse di aspettare un attimo che avrebbe voluto cambiarsi, tirò fuori da una borsa una t-shirt e la indossò, mostrando un'espressione da vero figlio di buona donna, con un sorriso beffardo che sottintendeva mille cose. Dovete sapere che a quell'epoca i rapporti con il suo ex chitarrista Jimmy Page non erano dei migliori, praticamente non si parlavano neppure; ebbene lui indossò una maglietta con l'immagine e la scritta Jimmy Page!

In seguito avrei incontrato nuovamente Robert Plant svariate volte ma quella fu un'occasione che è rimasta impressa nella mia mente.
Erano ancora i tempi in cui potevano accadere queste cose e tutto era ancora molto ma molto rock'n roll.