La
giornata si preannunciava davvero elettrizzante, in quanto avevo
visto Lenny Kravitz in azione al Pistoia Blues del 2008 ed era stata
una serata incredibile, dove l'artista aveva superato tutte le mia
aspettative, era però una serata in cui dovevo coordinare il
servizio di sicurezza come al solito, per cui mi ero riproposto
assolutamente di tornare a vederlo non appena fosse venuto nuovamente
a tiro.
Per
quanto riguarda Gary Clark jr. avevo già consumato il suo "Black
And Blu" ed il recente "Live" e, visto che mi era
sfuggito lo scorso settembre a San Diego, California, per pochi
giorni, non vedevo l'ora.
Dopo
esserci sistemati, io e la mia ragazza, sulla comoda tribunetta
laterale in Piazza Napoleone a Lucca e dopo aver salutato i molti
aficionados del rock toscano presenti, abbiamo atteso l'inizio dei
sets.
Aprono
le danze alle 20:00 in punto i London Souls, duo (chitarra e
batteria) che ci propone un set niente male, con echi zeppeliniani,
anche se il cantante ha la voce che ricorda piuttosto da vicino
quella di Kravitz, cosa questa piuttosto strana, visto che
l'eventuale paragone con "l'originale" penalizza non poco
Neal Tash, questo il nome del chitarrista/cantante.
Non
male assolutamente il loro show.
Dopo
un veloce cambio palco, arriva il momento da me molto atteso.
Gary
Clark jr. è una presenza molto carismatica, altissimo e con uno
sguardo che rasenta il minaccioso, inizia, con al collo una Gibson
"diavoletto" , con uno dei suoi brani che amo di più, vale
a dire "Bright Lights" e subito mi fa capire che ci avevo
visto giusto.
Un
chitarrismo molto grezzo ed incisivo, condito da una voce, a tratti,
soprattutto sul falsetto, molto ma molto soul.
"Ain't
Messin' Around","Hold On", "Our Love",
"Where My Train Pulls In" si susseguono, il pubblico sembra
gradire davvero e noi pure.
Credo,
come più volte ho detto, che il nuovo modo di fare blues passi
assolutamente da queste vie e Gary ne sarà sicuramente un alfiere.
Piazza
Napoleone nel frattempo si è completamente riempita e noi
ringraziamo il Signore di esserci sistemati nella tribunetta laterale
ad una distanza più che accettabile dal palco, senza dover stare
quindi pigiati sotto, come da qui vediamo esserlo i più.
Cambio
palco; stranamente non vedo pianoforte e batteria in plexiglass
trasparente, come era accaduto per l'ultima volta che avevo avuto
occasione di vederlo dal vivo, appunto al Pistoia Blues 2008 dove, a
dispetto delle critiche da parte dei puristi più intransigenti,
precedenti alla sua esibizione, Lenny e la sua band mi avevano
entusiasmato.
Una
semplice batteria, delle tastiere e svariati microfoni sul palco,
microfoni che sarebbero serviti per le tre coriste e per la robusta e
indispensabile sezione fiati.
Eccoli
finalmente sul palco, Lenny e la sua band di dieci elementi ed inizio
fulmineo con un brano dal suo ultimo lavoro “Strut”, come del
resto si chiama anche questo tour; il brano è “Frankenstein” e,
l'impressione che mi da, così d'istinto, è quella che Lenny questa
sera abbia un pochino ecceduto con qualcosa (buon vino toscano?)
prima del concerto.
Sensazione
che mi viene confermata quando, all'attacco del secondo brano,
“American Woman”, Lenny si ferma; c'è qualcosa che non va alla
chitarra, la cambia, batte il tempo alla batterista Cindy
Blackman (colei al quale Carlos Santana chiese di sposarlo
direttamente sul palco, durante un concerto) e riparte con il
brano...non ci siamo, si ferma di nuovo, si toglie la chitarra da
tracolla e la da ad un tecnico che sparisce dietro le quinte.
Lenny
caracolla sul palco tra lo sbigottimento generale, si inginocchia sul
bordo del palco appoggiato ad un amplificatore, scherza col pubblico
delle prime file; eccoci, penso, è andato...stasera sarà un
concerto un po' così...niente di più errato di questo mio pensiero,
infatti il vino toscano, se di vino trattasi, ha fatto benissimo a
Lenny che riattacca il brano per la terza volta e da qui in poi
questo diventerà un concerto letteralmente memorabile!
Pensate
che alla fine della giostra il concerto, durato circa un'ora e
quarantacinque minuti, conterà solamente undici brani, bis compreso.
Brani
dilatati all'inverosimile, nella più pura tradizione anni '70, addirittura una “Always On The Run” fatta durare una ventina di minuti, con assoli, fughe jazzistiche, e tanto, tanto ma tanto Soul e Funky.
Lenny è un perfetto Master Of Ceremony, guida la sua truppa di belve come un Santone posseduto dal demonio; in lui trovi la furia iconoclasta di James Brown, spesso infatti cade a terra come se fosse sfinito e poi si rialza in preda ad un raptus Funky più nero della pece; trovi il sacro fuoco del chitarrismo psichedelico di Jimi Hendrix, grazie anche al suo fido chitarrista Craig Ross, rivedi gli happenings di Sly Stone e della sua gang di soldati psycho-funk che erano i Family Stone; ti ritrovi insomma in un sabba infernale dominato dalla Musica nera che più nera non si può!
La meravigliosa “Sister” inizia come una lieve ballata, con lui alla
chitarra acustica, per terminare in un'orgia chitarristica senza fine.
Lenny non ha paura di andare ad insozzarsi in territori dove altri hanno paura di andare ma dove, prima di lui, altri grandi sono
andati. Diciamo che questa è una piccola storia della Black music,
ci sono quelli belli e puliti, esteticamente pregevoli, come lo è
Lenny su disco, ma che però si fermano li.
Poi
ci sono quelli a cui, appunto, non fa paura l'insudiciarsi con ritmi
più pericolosi, più contaminati, più sporchi, come lo è
giustappunto Lenny dal vivo e come lo è anche un altro genio della
Black Music, vale a dire Prince. Qui sta la differenza tra il dire ed
il fare, tra il vero ed il falso!
Si
parla però anche di vera e propria integrazione musicale, come anche
nel caso di Prince, integrazione musicale, razziale ed anche
sessuale, in quanto i brani pop che fanno parte dei suoi albums, dal
vivo vengono letteralmente trasformati, come ai suoi tempi fece il re
di questa integrazione, vale a dire Jimi Hendrix.
Hendrix,
Sly Stone, James Brown e persino Prince (ottimo chitarrista) sono i
nomi che più volte mi sono balzati alla mente assistendo a questo
concerto.
Su
“Love Let Rule” Lenny scende dal palco e va dal pubblico alle
transenne (ricordo bene quando a Pistoia, dove curavo la sicurezza,
fece lo stesso, salendo in piedi sulle transenne di fronte al palco e
dove io, nel tentativo di sorreggerlo, lasciai una rotula sulle
stesse transenne!), si lascia abbracciare, baciare, coccolare dal suo
pubblico...mentre lui è letteralmente posseduto e, a questo punto, è
riuscito a possedere anche tutti noi.
Dopo
una stupenda “Fly Away” il concerto termina ma, ovviamente, il
pubblico non ne ha abbastanza e, dopo pochi minuti, eccoli nuovamente
sul palco per una incredibile, anche se non inaspettata, “Are You
Gonna Go My Way” e dopo è davvero finita.
Una menzione speciale per la stupenda batterista Cindy Blackman, per la bassista, che ricordiamo essere stata alla corte di David Bowie per un lungo periodo, Gail Ann Dorsey, dal suono preciso e puntuale, per il fido Craig Ross alla chitarra, per le tre meravigliose coriste e per l'eccellente sezione fiati, oltre al tastierista che ha punteggiato i brani con il suono datato e fantastico del suo stupendo Fender Rhodes.
Concerto
letteralmente incredibile, bellissimo. Al momento sicuramente il mio
concerto dell'anno.
Un
plauso alla D'Alessandro & Galli che hanno messo su, per il
pluridecorato “Summer Festival” una serata di questo tipo, con
due artisti eccellenti e con la bella e piacevole aggiunta degli
inaspettati London Souls.
Vorrei
però fare una piccola riflessione su quanto, dagli anni '70 ad oggi
sia cambiato il pubblico che va ai concerti.
Sulla
pagina facebook del Festival toscano, ho letto svariati commenti sul
concerto di cui vi ho appena parlato; oltre ai molti (giusti)
commenti che lodavano la stupenda performance di Kravitz, ho trovato
moltissimi commenti di ragazzi/e deluse dal fatto che Lenny ha
“allungato” (l'hanno proprio definito così) troppo i brani e che
alla fine ne ha fatti pochi, tralasciando a parte l'iniziale
“Frankenstein”, l'ultimo album ed i numerosi superhits di cui si
può vantare.
Purtroppo
anni di “non cultura” musicale ci hanno portato a questo; gente
che va al concerto per sentirsi il greatest hits dell'artista in
questione e, quando invece trovano uno che tira letteralmente giù i
muri, con un concerto di una forza incredibile come quello a cui
abbiamo assistito, lasciando spazio totale ai fantastici musicisti
che compongono la sua band, di lasciarsi andare a jam strumentali
assolutamente improvvisate, come si faceva un tempo...beh, non va
bene, restano delusi!
Non
ho davvero parole!
Se
capita che, girando per il mondo durante queste vacanze, vi imbattete
in un concerto di Lenny Kravitz, un consiglio: non perdetevelo; è
quanto di meglio c'è al momento sulla piazza.
Questa
la set list del concerto di Lenny Kravitz al Lucca Summer festival:
Frankestein
American woman
It ain't over til it's over
Dancin' til dawn
Sister
Believe
Always on the run
I belong to you
Let love rule
Fly away
American woman
It ain't over til it's over
Dancin' til dawn
Sister
Believe
Always on the run
I belong to you
Let love rule
Fly away
Encore:
Are you gonna go my way
Are you gonna go my way
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