martedì 17 luglio 2012

PISTOIA BLUES 2012



Torno a parlare del mio Festival più caro. Lo faccio dopo alcune edizioni, in particolare le ultime due, che, a parte qualche esibizione (Buddy Guy e Jimmie Vaughan nel 2010 e Robben Ford più, in parte, Robbie Krieger & John Densmore nel 2011)mi avevano lasciato molto amaro in bocca.
Tornare in Piazza a gestire la sicurezza per questo Festival, cosa che faccio da 27 anni con questo, è sempre un'emozione unica.
Quest'anno purtroppo ho dovuto fare i conti con una fastidiosa nevralgia che mi ha accompagnato per tutta la durata del Festival e che, a momenti, mi ha persino impedito di parlare; ma tant'è, c'è un lavoro (piacevole) da svolgere e si svolge nonostante tutto, facendo finta di nulla e riproponendosi di pensare a tutto il resto a "bocce ferme" come diciamo noi toscani.

Quest'anno la durata della rassegna è di ben quattro giorni, con una anteprima, quella dei Subsonica, che ha fatto storcere il naso a molti (me compreso), ma che ha portato un po' di soldini nelle casse degli organizzatori che, mai come in questo momento, ne avevano bisogno.

Darò le "pagelle" in maniera piuttosto coincisa, ai vari Artisti che si sono esibiti al Festival di quest'anno; edizione numero 33.

SUBSONICA- Considero questa band abbastanza inutile in se per se, per cui ogni giudizio sul loro set è abbastanza superfluo.

CHICAGO BLUE REVUE- La Chicago Blue Revue è una Band che conosco e seguo da tanto, tantissimo tempo; praticamente dagli inizi, quando l'Amico (o meglio il Fratello) Ernesto De Pascale ne era deus- ex machina assieme a Fabrizio Berti (il quale fa benissimo a citarlo ad ogni concerto, contribuendo a darmi una stretta al cuore).

L'esibizione è stata rigorosa come al solito e priva di sbavature. D'altronde la CBR è e resta una vera garanzia di Blues incontaminato.











PAUL UBANA JONES- Piacevole e trascinante. Personaggio estremamente positivo.Ha vissuto questo Festival in maniera perfetta, standosene per tutta la durata della manifestazione, sia nel backstage, sia in Piazza a parlare con il pubblico presente. Ovunque andassi incrociavo il suo sorriso contagioso che dimostrava il suo assoluto piacere nel trovarsi li.



GERRY McAVOY & FRIENDS- Rock Blues al fulmicotone. Hanno riproposto il repertorio dell'indimenticabile Rory Gallagher (Gerry è stato il fido bassista di Rorry per quasi tutta la sua carriera ed anche il batterista Ted McKenna ha suonato con lui). Queste "operazioni" hanno però il sapore di risvegliare in me una grande tristezza, nella consapevolezza di CHI abbiamo perso.




Rory aveva quel "qualcosa" che, soprattutto sul palco (l'ho visto ben tre volte a partire dal lontano 1972) è difficilmente riproponibile da chiunque altro, anche se molto bravo come appunto Marcel Scherpenzeel.






B.B.KING- Parlare di quest'Uomo è una cosa che metterebbe in difficoltà chiunque. L'ho già fatto in un altro articolo su questo Blog e non starò a rifare la Storia di uno che la Storia l'ha fatta di suo. Non è più lo stesso, non è più nemmeno quello anche di soli 7 anni fa ma non possiamo certo fargliene una colpa. Ha 87 anni e si porta appresso una forma di diabete praticamente da sempre. E' però il Maestro ed il solo vederlo salire con le sue gambe ed ascoltare alcune note, mi allarga il cuore.
Il suo staff è lo stesso di sempre, compreso il suo bodyguard storico, anche lui oramai ottuagenario e accompagnato a sua volta da una persona più giovane che si occupa di lui (bellissima e molto dolce questa cosa). Si sistema seduto ai lati del palco e osserva il Maestro, occupandosi di tenere le spillette che quest'ultimo donerà al suo pubblico al termine del concerto.




Racconto un piccolo aneddoto. Durante la canzone "You Are My Sunshine", Bibi invita il pubblico a baciarsi e, non vedendo che nessuno lo fa, dimostra un lieve disappunto, arrivando a baciare Lui la sua Lucille. Io, che da sotto il palco controllo che tutto fili liscio, mi faccio avanti e, andando dall'altra parte dello stage, dov'era sistemata Fruz la mia ragazza, richiamo la sua attenzione e bacio Fruz. Bibi spalanca gli occhi, fa un bel sorriso e, indicandomi, invita il pubblico a farmi un grande applauso!
Alla fine del suo show, mentre piano piano scende dalla rampa che lo porterà all'interno del suo pulmino, mi ncrocia e mi tende la sua mano (è un vero piacere "di pelle" stringere la mano a Lui, tutte le volte che l'ho fatto ne ho sempre ricavato una bellissima sensazione di pace e di dolcezza) e, sorridendomi mi dice "...You're great man!" memore della scenetta di poco prima.
E' un Uomo che ama l'Amore e ama portarlo in giro.
Grande, grandissimo Maestro.

SERGIO MONTALENI BAND- Bel set del nostro Sergino, grinta, gusto e inventiva nel riproporre un argomento altamente risaputo: i Beatles.



D'altronde la chitarra e la voce di Sergio sono oramai una garanzia dalle nostre parti e, sinceramente, non vedo l'ora che Montaleni si concentri sulla registrazione di un album, per far si che anche al di fuori dei confini toscani, anche gli altri possano accorgersi della bravura di questo chitarrista.



PIERS FACCINI- Una bella svolta rispetto alla sua venuta precedente, set altamente coinvolgente. Una Chitarra, una armonica, la voce ed una batteria ma tanto tanto coinvolgente feeling.

PAOLO NUTINI- C'erano state parecchie critiche sul fatto che Nutini fosse stato invitato a suonare al Festival blues di Pistoia. I soliti noti (oramai fortunatamente sempre più in via di estinzione come delle vecchie cassandre) avevano tuonato che il Nutini era "roba da Festivalbar", roda da ragazzine; bene, come al solito, visto che perlopiù si trattava di persone che mai lo avevano visto dal vivo in precedenza, si sono dovuti azzittire.





Nutini è performer di razza, con una Band coi controfiocchi ed una gran bella attitudine da Soulman navigato.
Non amavo particolarmente la sua produzione discografica ma aspettavo, come credo si debba sempre fare, la sua prova dal vivo, prova che, a mio avviso, ha abbondantemente superato.




FOUR FUNK- Ero sempre stato molto critico con questa Band formata da quattro autentici talenti pistoiesi (Keki Andrei all'Hammond, Daniele Nesi al basso, Carmine Bloisi alla batteria e Andrea "Ranfa" voce solista); anche le due volte che avevo avuto occasione di vederli non mi avevano entusiasmato.
Riconosco che ero molto esigente nei loro confronti, però come si fa a non esserlo quando si riconosce il talento dei musicisti che compongono questa Band?


Gli imputavo una troppa perfezione stilistica che rasentava a volte la freddezza (è un po' il problema di quelli molto bravi tecnicamente, che spesso lasciano un po' indietro il feeling, cosa questa che nel genere in cui si cimentano i quattro, risulta cosa estremamente grave). In questa occasione, con l'innesto anche di Leonardo Ricotti alla chitarra, invece li ho trovati molto convincenti. Sentono la Piazza e si vede, ma soprattutto si sente.
Magicamente, questa volta, hanno acquistato colore e forma ed il loro set è risultato godibile e trascinante. Bravi.

LEBLANC- Uno dei punti più alti dell'intera rassegna. Una Band addirittura stellare, con il grande Nick Becattini (fiore all'occhiello del Blues Pistoiese) alla chitarra, Vince Vallicelli alla batteria, Pippo Guarnera alle tastiere e Leon Price al basso ed una front woman che oltre alla voce da paura ha un'incredibile carica sexy, hanno lasciato a bocca aperta l'intera Piazza.




Brani come la loro "Somebody To Love" che pare già un classico, o la cover personalissima di "Part Time Lover" (S.Wonder) hanno messo in mostra il perfetto amalgama tra la vocalist e la Band. Eccellente progetto che se prodotto a dovere lascerà una bella traccia nel panorama musicale, non solo Blues, italiano.



GOV'T MULE- Un unico aggettivo: paurosi. Tiro micidiale; questa era la quarta volta che li vedevo dal vivo, dal tempo della loro prima venuta sul suolo italico in quel 4 Aprile 2005 all'Alcatraz di Milano.
Una Band che quando parte per la tangente dell'improvvisazione ce n'è davvero per pochi, solo la Allman Brothers Band riesce a darmi maggiori emozioni in questo genere musicale.



Set list per forza di cose accorciata rispetto ai loro standard abituali (suonano oltre le tre ore), visto che i tempi di un festival sono diversi da quelli di un concerto secco, però scaletta da brivido, con due brani inediti (World Boss e Captured) e due cover da pelle d'oca: "One of These Days" dei Pink Floyd e, come bis una "No Quarter" degli Zep che ha impedito di stare fermo anche a me, solitamente compassato mentre lavoro, tra i sorrisi compiaciuti delle prime file, che capivano di non aver a che fare con il solito "security man" che non vede l'ora che tutto sia finito per smammare a casa. Grandi.
Un paio di curiosità: Mentre illuminavo le scale per far scendere i Gov't Mule, Matt Abts (il batterista) mi ha stretto la mano calorosamente dicendomi "Man...i really LOVE this Place!". Lo ha detto con una luce negli occhi che non ho faticato a credergli.
Nei camerini mi ha riconfermato la cosa, aggiungendo che portava nel cuore la loro precedente esibizione in Piazza Duomo e che ha accolto con grande gioia il fatto di doverci tornare.
Warren Haynes, al solito molto disponibile con i fans, è stato più di un'ora a stringere mani, firmare autografi e farsi le foto praticamente con tutti, mi ha confermato, dietro mia precisa domanda, che Gregg Allman si sta riprendendo piuttosto bene dall'intervento subito tempo fa (trapianto di fegato) e che, seppur dimagrito, ha una grande energia positiva e tanta ma tanta voglia di fare (grazie a Dio ho aggiunto io).

JOHN HIATT- Set magistrale, di quelli da mandare a futura memoria. Concerto senza sbavatura alcuna da parte di un grande Artista. Ha alternato vecchi e nuovi brani ("Down Around My Place", "Crossing Muddy Waters", "Perfectly Good Guitar","Real Fine Love") con una facilità di esecuzione ed una scioltezza da fare impallidire.



Band da paura (The Combo) ed una grinta, una pulizia ed un gusto degno dei migliori performer americani.

Dunque un'ottima edizione con vette molto alte, soprattutto nell'ultima serata; un'edizione che fa ben sperare per il futuro della manifestazione.
In periodi come questi, periodi di depressione, in cui pare che la Cultura, soprattutto quella musicale, sia diventata un optional nel nostro Paese, Festival come questo, con momenti intensi di aggregazione (lo percepivo dalle facce soddisfatte della gente girando per la Piazza), fanno davvero bene all'anima e riscaldano il cuore.
See You next year, my dear Pistoia Blues Festival.

So Long

martedì 3 luglio 2012

THE TRIP (and me)


The Trip, una band che, a partire dal primo anno di un decennio fantastico, gli anni '70, ha rappresentato molto per me.
Non starò certo qui a rifare la storia della band, ne' delle sue varie incarnazioni. Non parlerò di Richie Blackmore che fece parte della prima formazione, venuta in Italia per volere di Ricky Maiocchi, ne' della loro discografia,analizzata da altri (nel bene e nel male) in più di un'occasione.
In molti, soprattutto negli ultimi mesi visto che il gruppo si è recentemente riformato, prima della recente, prematura e dolorosissima scomparsa del membro fondatore Arvid “Wegg” Andersen, hanno raccontato la storia di questa band sviscerandone ogni aspetto.
Si è analizzato tutto, dai loro dischi alla loro unica pellicola, quel “Terzo Canale Avventura a Montecarlo” che fotografava alla perfezione quel periodo libero, un po' pazzo e molto ma molto creativo.
Preferisco raccontare quello che sono stati per me The Trip, attraverso il racconto dei miei "incontri" con i loro dischi, i loro concerti e loro stessi come persone.
Farò la “mia” storia dei The Trip, di come li ho scoperti e di come ho avuto modo di ascoltarli dal vivo e conoscerli.
Me and The Trip insomma.


Ricordo che acquistai il loro primo album “The Trip”, con il sottotitolo “Musica Impressionistica”, mentre abitavo ancora nella mia città natale, Pistoia, in un negozio di elettrodomestici di cui non rammento il nome ma rammento benissimo dov'era.
Era bellissimo, perchè all'epoca (1970) i negozi di elettrodomestici avevano il loro angolino riservato ai dischi; angolino che spesso consisteva in un espositore (di quelli girevoli) per LP ed in un paio di cassette di 45 giri messe sul banco vicino alla cassa.
Quello, per me quattordicenne già da un po' alla ricerca di “buone vibrazioni”, costituiva il mio primo “paese dei balocchi”, assieme ad un negozietto di dischi, gestito da un'anziana e dolcissima signora (almeno all'epoca a me pareva anziana, magari con il senno di oggi avrà avuto 40 anni o poco più), situato in centro città.

Ricordo che un giorno, assieme a mia Mamma, la quale doveva comperare un non precisato oggetto da cucina, mi soffermai, isolandomi da tutto il resto come sempre facevo, a scrutare con attenzione gli Lp sull'espositore.
La mia attenzione fu immediatamente catturata da quell'album con la copertina rossa, che lasciava intravvedere quattro volti seminascosti da fumi psichedelici, da una scritta “The Trip” dai caratteri grassi e “cocacolaeggianti” che mi ricordavano tanto l'insegna del locale che, grazie ad un cugino più grande che riusciva a farmi entrare, frequentavo già da due- tre anni soprattutto d'estate, il “Piper Club” di Viareggio e che costituiva per me, davvero la mecca di tutto cio' che cercavo: musica, libertà ed un tocco di ribellione all'ingessato mondo di allora.
Anche quella scritta “Musica Impressionistica” sul retro della copertina, solleticava non poco la mia fantasia, facendomi immaginare di trovarmi tra le mani un qualcosa di culturalmente affascinante.
Fu così che, tirando leggermente la gonna a mia Mamma, la convinsi a sborsarmi le 1.800 lirette per acquistare il disco, con l'ovvia promessa che non avrei passato il pomeriggio e la sera ad ascoltarlo ma avrei studiato anche un po'. Promessa ovviamente mantenuta solo in parte, dato che dedicai molto del mio tempo all'ascolto del disco che mi colpì molto per le soluzioni sonore assolutamente all'avanguardia, eccetto che per quell'ultima canzone cantata in italiano, che mi riportava un po' ai terreni più sobri della canzonetta all'italiana.
Le tastiere di Joe, la chitarra di Billy, il basso pulsante di Wegg ed il drumming potente di Pino stimolavano la mia fantasia.
Fu un gran bell'acquisto di cui non mi pentii.





L'anno successivo, il 1971, era già accaduto qualcosa. La spontaneità, in noi giovani ascoltatori, la voglia di scoprire cose nuove, era già stata appagata dalle numerose novità che venivano dall'oltremanica. Avevamo già assaporato gli Emerson, Lake & Palmer, i Jethro Tull, i King Crimson e tutte le altre glorie della musica pop di quel periodo fantascientifico che fu il passaggio dagli anni '60 al nuovo decennio. Tutto cio' aveva creato in noi italiani un fenomeno che si è poi protratto per lunghi anni; un fenomeno, a mio avviso, piuttosto deleterio, vale a dire l'esterofilia.
Tutto quello che veniva dall'Inghilterra andava bene, di contro,tutto cio' che veniva prodotto dalle nostre parti no.
Fortunatamente non sono mai stato colpito da questo virus malefico e, a parte gruppi che erano davvero “di grana grossa”, per usare un eufemismo, amavo ed ammiravo anche quello che producevano alcune nostre vecchie glorie, che dalla canzonetta si erano riciclati in pop (o progressive, per far capire ai giovani di oggi di cosa stiamo parlando), come i New Trolls o Le Orme, tanto per fare un paio di esempi di complessi (altro termine oggi desueto) di cui avevo acquistato i rispettivi LP proprio in quell'anno.

Mi trovai un pomeriggio a passare da “Gavazzi”, altro negozio di dischi della Pistoia dell'epoca, adesso perso nella memoria e, guardando tra le copertine dei long playng, mi cadde lo sguardo su una copertina meravigliosa, una copertina raffigurante Caronte, il mitico nocchiero, disegno che ricordavo aver visto in un librone del Babbo che troneggiava nella sua libreria, una “Divina Commedia” rilegata e pesantissima che aveva attirato la mia attenzione soprattutto per le illustrazioni meravigliose.
Questa volta Caronte aveva il pube avvolto in uno straccio che rappresentava la bandiera inglese ed in basso a sinistra apparivano The Trip, avvolti in teli bianchi, che facevano apparire anch'essi come creature celestiali.
Li per li, la tentazione fu di acquistare il disco ma poi, vista l'esterofilia imperante che circolava tra i miei amici, con i quali dividevo gli ascolti (ogni volta che uno di noi acquistava un disco, venivano subito invitati gli amici per ascoltare ripetutamente il disco tutti assieme, commentandolo e facendo una specie di recensione ciascuno; ne ricordo un paio un po' più grandi di me che erano davvero cattivissimi), pensai che forse era meglio desistere, non avevo voglia di stare a “difendere” una mia scelta.
La sera nel mio letto mi detti più volte di stupido e pensai che il mio carattere non avrebbe sopportato il fatto di non comprare un qualcosa che probabilmente non sarebbe piaciuto agli altri.
Al mattino successivo la prima cosa che feci appena uscito da scuola (fortunatamente uscivamo due ore prima) andai da Gavazzi, mi feci imbustare il disco e me lo portai a casa.
Ricordo che mi piacque tantissimo, risultò molto più immediato e “Rock” del precedente. Anche i miei amici, che inizialmente storsero il naso, successivamente apprezzarono il disco.
Ho sempre pensato che, per alcuni di loro, il dover ammettere che era davvero un gran bel disco, era mitigato dal fatto che The Trip erano una formazione per metà italiana e metà inglese!


Racconto una piccola curiosità: all'epoca della ristampa di "Caronte" da parte della "Contempo Records" di Firenze, attorno alla metà degli anni '80, fui contattato da Giampiero, il "patron" dell'etichetta toscana, il quale mi contattò perchè non riuscivano a trovare una copia del disco per poter ristampare la copertina originale (copertina che poi purtroppo è stata ristampata con le foto delle pagine interne al rovescio, vale a dire quelle che erano a destra vennero messe a sinistra e viceversa e il "taglio della busta per estrarre il disco,da interno che era divenne esterno); io, ovviamente, prestai la mia copia volentieri. La mia copia però aveva un piccolo problema, siccome la carta della cover era molto "leggera", per rinforzarla (eravamo nel 1971) vi applicai un filo di scotch sulla costola.
Giampiero mi disse che non sarebbe stato assolutamente un problema e che, con "varie tecniche", sarebbero riusciti a non farlo notare nella ristampa. Così non fu, per cui chi possiede una copia del LP ristampato dalla "Contempo Records", potrà notare sulla costola dell'album in questione, una riga un pochettino più scura; bene, quello è lo scotch che io applicai sul disco in quel lontano 1971 e che ancora fa bella mostra di se sulla mia copia originale, in questo caso "divenuta" molto più originale ed "importante" di altre.




Nella primavera del 1972 comperai il loro terzo disco, questa volta non ci fu neppure bisogno di essere conquistato dall'ennesima stupenda, questa volta davvero innovativa ed incredibile, copertina.
“Atlantide” ricordo che mi conquistò innanzitutto per un motivo: la nuova formazione, senza più il chitarrista Billy Gray (non sostituito) ma con un batterista nuovo di zecca, Furio Chirico.
Dovete sapere che proprio in quegli anni anch'io suonavo la batteria (ed a quanto dicono, quelli che si ricordano, neppure male; ero un batterista che aveva dalla sua una “botta” notevole) e, quando ascoltai Furio, capii che quello era il modo in cui avrei voluto suonare il mio strumento; addirittura incredibile!
Un'altra ragione che me lo faceva sentire più vicino era il fatto che Furio aveva appena due anni più di me, per cui io sedicenne mi trovavo ad avere come idolo, non un veterano, bensì un diciottenne!
“Atlantide”, disco registrato con la formazione a tre, che avvicinava la band a formazioni quali EL&P appunto, disco fondamentale, autentica pietra d'angolo, della loro discografia.




Ad agosto del 1972 si svolse al Piper 2000 di Viareggio un'estate indimenticabile di concerti (cito soltanto alcuni nomi come Van Der Graaf Generator, Genesis, Patto, Audience, Amazing Blondel, Brian Auger, Ufo, Rory Gallagher, più praticamente tutti i migliori complessi pop italiani).
Non me ne persi nemmeno uno!
Dopo il concerto che sancì praticamente la fine delle mie vacanze assieme ai miei Genitori, il 20 Agosto il concerto dei Genesis, convinsi i miei a lasciarmi due giorni ancora da solo al mare, per poter vedere il concerto dei The Trip.
Mentre ero sul prato davanti al locale ad aspettare che si aprissero le porte del locale stesso per l'inizio del concerto pomeridiano (ne eseguivano due, uno al pomeriggio e l'altro alla sera), iniziò a circolare la voce che il concerto sarebbe stato annullato.
Non so bene il perchè, forse per mancanza di pubblico, effettivamente eravamo a fine Agosto ed eravamo in pochini li sul praticello ad aspettare, fatto sta che la voce stava iniziando tristemente a divenire una certezza.
Mentre ero ancora in attesa speranzosa vidi avvicinarsi a me e ad un altro gruppo di ragazzi in attesa, una figura familiare; nientemeno che Billy Gray, l'ex chitarrista dei Trip che si sedette li assieme a noi e ci raccontò, dopo ovviamente essersi presentato, della sua futura carriera solistica e di un suo LP di prossima pubblicazione, dalle forti tinte Blues, “Feeling Gray”, disco che acquistai poi successivamente.
Sconsolato me ne andai verso la stazione con la tristezza di non aver potuto aggiungere alla favolosa lista dei concerti di quella irripetibile Estate, anche quello dei miei amati Trip; non avrei dovuto però aspettare ancora molto.




Nel Settembre di quell'anno, più precisamente il 5 Settembre 1972, mi arrivarono all'orecchio, notizie di un concerto, una specie di piccolo Festival Pop che si sarebbe dovuto tenere allo Stadio di Prato, città vicino a dove abitavo (con i miei ci eravamo trasferiti nel frattempo da Pistoia a Sesto Fiorentino).
Le notizie erano semplicemente dei passaparola; sulla carta stampata non c'era traccia; sui settimanali musicali, nella fattispecie “Ciao 2001” tanto meno; eppure, se era vero, sarebbe stato un evento memorabile, infatti, a quanto dicevano, si sarebbero dovute esibire ben tre bands, tre autentici nomi di rilievo del panorama Pop di allora: Banco del Mutuo Soccorso, Osanna e, appunto, The Trip!
Un po' dubbioso, presi il mio “Ciao”, allora mio unico mezzo di locomozione, e indossati i miei jeans a campana tutti rattoppati, mi diressi nel primo pomeriggio verso lo Stadio di Prato.

Arrivato li, entrai senza alcun problema (il concerto previsto era gratuito e ancora non esistevano i servizi di sicurezza, quello che poi sarebbe diventato il mio futuro lavoro). Mi infilai immediatamente nel backstage, che erano praticamente dei camerini sotto la tribuna e, riconobbi subito la sagoma inconfondibile di Francesco “Big” Di Giacomo del Banco del Mutuo Soccorso, che avevo conosciuto un paio di mesi prima al Piper 2000 di Viareggio in occasione del loro concerto e che, addirittura, aveva dato uno stappo a me e ad un paio di miei amici, con il furgone del complesso (ed il resto della band) fino alla Stazione ferroviaria per prendere l'ultimo treno che ci avrebbe riportati a casa.
Francesco mi riconobbe immediatamente e mi salutò calorosamente, introducendomi, con mia grande emozione a Joe Vescovi, con cui stava tranquillamente chiacchierando.
Joe mi apperve subito come un qualcosa di quasi extraterrestre, la sua lunghissima chioma bionda, la barba e quel suo incedere quasi da personaggio mitologico, era insomma proprio come me l'ero immaginato.
Considerate che all'epoca non era come adesso in cui basta andare sul canale youtube per vedere in azione qualsiasi musicista; all'epoca le uniche cose che avevamo per “vedere" i nostri idoli erano i loro dischi e le foto dei giornali, in quanto anche radio e televisioni badavano bene di mostrarceli, se non in qualche rarissimo e fulmineo filmato più che altro riguardante il “costume” e questo strano mondo fatto di hippies e capelloni.
La nostra immaginazione faceva il resto e spesso le figure che cercavamo di immaginare assumevano aspetti appunto quasi mitologici.
Ricordo che al concerto serale i Trip sbalordirono me ed i miei amici presenti (si, anche quello che storceva un po' il naso su Caronte), presentando Atlantide nella sua interezza. Dal vivo non perdeva un'oncia del suo fascino, anzi.
Furono stupefacenti anche i set del Banco, che avevo visto giusto due mesi prima appunto e degli Osanna, che avevano da poco fatto uscire il loro “Preludio, Tema, Variazioni, Canzona” colonna sonora del film “Milano Calibro 9”.
Nel Novembre dello stesso anno, fu annunciato uno spettacolo (eh si, venivano chiamato così, oltre che “recital”, “show”, ecc.) dei Trip ad un locale di Firenze, che tuttora esiste e che si chiama “Meccano'” ma che allora si chiamava “Chalet i Tigli”.
Ci dirigemmo al locale, per il concerto che si sarebbe svolto al pomeriggio, quel 19 Novembre 1972, assieme ai miei amici Ernesto e Maurizio.
Preceduti da un complesso locale, tali Pico & Bob Rose, arrivò il momento tanto atteso dei The Trip.
Ci sedemmo a terra, io proprio davanti alla batteria di Furio e ci gustammo il concerto.
Joe con l'Hammond a sinistra, Furio e la sua batteria al centro e Wegg con uno stupendo Fender Precision degli anni '50 a destra.
Iniziarono subito con una spettacolare “Caronte I” in versione a tre. Seguì la totale esecuzione della suite “Atlantide” con assolo incredibile di batteria di Furio a cui al termine del concerto strinsi la mano complimentandomi con lui per la sua tecnica, assolutamente inconfondibile. Furio, gentilissimo, mi regalo' una bacchetta incerottata ( e pesantissima), bacchetta che portai con me nella sacca delle bacchette che portavo alla cintura quando suonavo, come faceva anche lui, per lungo tempo.
L'anno successivo ricordo che al termine di un'estate molto più avara di quella precedente in fatto di appuntamenti live (il Piper aveva chiuso tramutandosi in music hall e cambiando pure nome da Piper a Caprice), mi recai assieme ad una amica alla pista di pattinaggio nella pineta viareggina.
Era una sera di fine Agosto e, strano ma vero, scorsi Wegg appoggiato alla balaustra intento a fumarsi una sigaretta ed a guardare la gente che pattinava.
Non so cosa facesse li da solo e non glielo chiesi; ricordo però che mi fermai a parlare con lui, dopo avergli presentato la ragazza che era con me, raccontandogli, come un fiume in piena, delle due volte che lo avevo visto con i Trip e di quanto mi piacessero i suoi dischi ed il suono del suo basso.
Lui fu gentilissimo e molto simpatico e restò li con noi a trascorrere la serata.

1972-2010, a 38 anni di distanza ho l'occasione di incontrare nuovamente The Trip che nel frattempo si sono riformati.
Grazie a facebook ed alle nuove tecnologie di comunicazione, oggi è possibile essere in contatto con chiunque e, tra i tanti musicisti, complice anche il lavoro che faccio, con cui sono in contatto, ho modo di conoscere e stimare anche quel vecchio leone di Joe Vescovi.
Dopo una lunga frequentazione telematica, dove abbiamo modo di conoscerci e stimarci a vicenda, e dopo alcune lunghe chiacchierate al telefono, Joe mi invita a Milano per le prove generali di quella famigerata “Prog Exhibition” che si svolgerà a Roma di li a poco.
Carico la mia amata Fruz (la mia ragazza) in macchina e ci dirigiamo verso Milano, alla volta della Blueshouse.
L'incontro con Joe, Furio ed i due nuovi membri della band Fabrizio Chiarelli (voce e chitarra) e Angelo Perini (basso) è piacevole ed è come se dei vecchi amici si incontrassero (in fondo è così, come Joe mi ha confessato, c'è sempre un rapporto molto speciale con i fans dell'epoca) e, dopo i saluti ho modo di ascoltare la band in azione.


Purtroppo manca Wegg che è dovuto andar via prima (abitava in Svizzera).
La band dal vivo non ha perso assolutamente lo smalto di un tempo e, grazie ai due giovani innesti, il sound si è leggermente indurito di una vena ancor più Rock che non guasta, anzi.
Furio è una macchina da guerra e le tastiere di Joe riportano la mia mente a giorni lontani ma mai realmete dimenticati.
Rivedo gli amici di un tempo, risento i profumi e le sensazioni di allora ascoltando Caronte e Two Brothers.
Dopo le prove una bella pizza ed una birra tutti assieme ci servono per ricaricarci in vista del viaggio di ritorno.
Grazie amici di aver rimesso in moto la macchina The Trip, una macchina che non risente del logorio del tempo, come invece succede, purtroppo, ad altre formazioni (non faccio assolutamente nomi) di quell'epoca, che restano invece irrimediabilmente legate a quegli anni.
Non è così per The Trip. La loro musica è tuttora attuale e fresca.


Purtroppo Wegg non è più tra noi e purtroppo non ho avuto modo di reincontrarlo. Rimango a quella stretta di mano finale in quella sperduta pista di pattinaggio di 37 anni prima.
Gli avrei chiesto sicuramente che cosa ci faceva in quella fine Estate a Viareggio, da solo, appoggiato ad una balaustra di una pista di pattinaggio.
Chissà se se lo sarebbe ricordato.


(La foto "tonda" è una cartolina promozionale appartenente alla collezione privata di Silvano Martini.
La foto degli albums è una parte della collezione riguardante la discografia dei The Trip appartenente a Martini Silvano.
La foto con Pino Sinnone è stata scattata al "Piper 2000" di Viareggio il 13 Luglio 2013.
Le due foto che mi ritraggono assieme a Joe Vescovi, Fruz e Furio Chirico, con in mano la copia originale di "Atlantide", sono state scattate al "Blueshouse" di Milano il giorno 27 Ottobre 2010)