venerdì 31 luglio 2015

LENNY KRAVITZ e GARY CLARK Jr., Lucca Summer Festival, 26 Luglio 2015

La giornata si preannunciava davvero elettrizzante, in quanto avevo visto Lenny Kravitz in azione al Pistoia Blues del 2008 ed era stata una serata incredibile, dove l'artista aveva superato tutte le mia aspettative, era però una serata in cui dovevo coordinare il servizio di sicurezza come al solito, per cui mi ero riproposto assolutamente di tornare a vederlo non appena fosse venuto nuovamente a tiro.
Per quanto riguarda Gary Clark jr. avevo già consumato il suo "Black And Blu" ed il recente "Live" e, visto che mi era sfuggito lo scorso settembre a San Diego, California, per pochi giorni, non vedevo l'ora.
Dopo esserci sistemati, io e la mia ragazza, sulla comoda tribunetta laterale in Piazza Napoleone a Lucca e dopo aver salutato i molti aficionados del rock toscano presenti, abbiamo atteso l'inizio dei sets.

Aprono le danze  alle 20:00 in punto i London Souls, duo (chitarra e batteria) che ci propone un set niente male, con echi zeppeliniani, anche se il cantante ha la voce che ricorda piuttosto da vicino quella di Kravitz, cosa questa piuttosto strana, visto che l'eventuale paragone con "l'originale" penalizza non poco Neal Tash, questo il nome del chitarrista/cantante.
Non male assolutamente il loro show.
Dopo un veloce cambio palco, arriva il momento da me molto atteso.
Gary Clark jr. è una presenza molto carismatica, altissimo e con uno sguardo che rasenta il minaccioso, inizia, con al collo una Gibson "diavoletto" , con uno dei suoi brani che amo di più, vale a dire "Bright Lights" e subito mi fa capire che ci avevo visto giusto.
Un chitarrismo molto grezzo ed incisivo, condito da una voce, a tratti, soprattutto sul falsetto, molto ma molto soul.
"Ain't Messin' Around","Hold On", "Our Love", "Where My Train Pulls In" si susseguono, il pubblico sembra gradire davvero e noi pure.
Credo, come più volte ho detto, che il nuovo modo di fare blues passi assolutamente da queste vie e Gary ne sarà sicuramente un alfiere.
Piazza Napoleone nel frattempo si è completamente riempita e noi ringraziamo il Signore di esserci sistemati nella tribunetta laterale ad una distanza più che accettabile dal palco, senza dover stare quindi pigiati sotto, come da qui vediamo esserlo i più.
Cambio palco; stranamente non vedo pianoforte e batteria in plexiglass trasparente, come era accaduto per l'ultima volta che avevo avuto occasione di vederlo dal vivo, appunto al Pistoia Blues 2008 dove, a dispetto delle critiche da parte dei puristi più intransigenti, precedenti alla sua esibizione, Lenny e la sua band mi avevano entusiasmato.
Una semplice batteria, delle tastiere e svariati microfoni sul palco, microfoni che sarebbero serviti per le tre coriste e per la robusta e indispensabile sezione fiati.
Eccoli finalmente sul palco, Lenny e la sua band di dieci elementi ed inizio fulmineo con un brano dal suo ultimo lavoro “Strut”, come del resto si chiama anche questo tour; il brano è “Frankenstein” e, l'impressione che mi da, così d'istinto, è quella che Lenny questa sera abbia un pochino ecceduto con qualcosa (buon vino toscano?) prima del concerto.
Sensazione che mi viene confermata quando, all'attacco del secondo brano, “American Woman”, Lenny si ferma; c'è qualcosa che non va alla chitarra, la cambia, batte il tempo alla batterista Cindy Blackman (colei al quale Carlos Santana chiese di sposarlo direttamente sul palco, durante un concerto) e riparte con il brano...non ci siamo, si ferma di nuovo, si toglie la chitarra da tracolla e la da ad un tecnico che sparisce dietro le quinte.
Lenny caracolla sul palco tra lo sbigottimento generale, si inginocchia sul bordo del palco appoggiato ad un amplificatore, scherza col pubblico delle prime file; eccoci, penso, è andato...stasera sarà un concerto un po' così...niente di più errato di questo mio pensiero, infatti il vino toscano, se di vino trattasi, ha fatto benissimo a Lenny che riattacca il brano per la terza volta e da qui in poi questo diventerà un concerto letteralmente memorabile!
Pensate che alla fine della giostra il concerto, durato circa un'ora e quarantacinque minuti, conterà solamente undici brani, bis compreso.
Brani dilatati all'inverosimile, nella più pura tradizione anni '70, addirittura una “Always On The Run” fatta durare una ventina di minuti, con assoli, fughe jazzistiche, e tanto, tanto ma tanto Soul e Funky.
Lenny è un perfetto Master Of Ceremony, guida la sua truppa di belve come un Santone posseduto dal demonio; in lui trovi la furia iconoclasta di James Brown, spesso infatti cade a terra come se fosse sfinito e poi si rialza in preda ad un raptus Funky più nero della pece; trovi il sacro fuoco del chitarrismo psichedelico di Jimi Hendrix, grazie anche al suo fido chitarrista Craig Ross, rivedi gli happenings di Sly Stone e della sua gang di soldati psycho-funk che erano i Family Stone; ti ritrovi insomma in un sabba infernale dominato dalla Musica nera che più nera non si può!
La meravigliosa “Sister” inizia come una lieve ballata, con lui alla chitarra acustica, per terminare in un'orgia chitarristica senza fine.
Lenny non ha paura di andare ad insozzarsi in territori dove altri hanno paura di andare ma dove, prima di lui, altri grandi sono andati. Diciamo che questa è una piccola storia della Black music, ci sono quelli belli e puliti, esteticamente pregevoli, come lo è Lenny su disco, ma che però si fermano li.
Poi ci sono quelli a cui, appunto, non fa paura l'insudiciarsi con ritmi più pericolosi, più contaminati, più sporchi, come lo è giustappunto Lenny dal vivo e come lo è anche un altro genio della Black Music, vale a dire Prince. Qui sta la differenza tra il dire ed il fare, tra il vero ed il falso!
Si parla però anche di vera e propria integrazione musicale, come anche nel caso di Prince, integrazione musicale, razziale ed anche sessuale, in quanto i brani pop che fanno parte dei suoi albums, dal vivo vengono letteralmente trasformati, come ai suoi tempi fece il re di questa integrazione, vale a dire Jimi Hendrix.
Hendrix, Sly Stone, James Brown e persino Prince (ottimo chitarrista) sono i nomi che più volte mi sono balzati alla mente assistendo a questo concerto.

Su “Love Let Rule” Lenny scende dal palco e va dal pubblico alle transenne (ricordo bene quando a Pistoia, dove curavo la sicurezza, fece lo stesso, salendo in piedi sulle transenne di fronte al palco e dove io, nel tentativo di sorreggerlo, lasciai una rotula sulle stesse transenne!), si lascia abbracciare, baciare, coccolare dal suo pubblico...mentre lui è letteralmente posseduto e, a questo punto, è riuscito a possedere anche tutti noi.
Dopo una stupenda “Fly Away” il concerto termina ma, ovviamente, il pubblico non ne ha abbastanza e, dopo pochi minuti, eccoli nuovamente sul palco per una incredibile, anche se non inaspettata, “Are You Gonna Go My Way” e dopo è davvero finita.
Una menzione speciale per la stupenda batterista Cindy Blackman, per la bassista, che ricordiamo essere stata alla corte di David Bowie per un lungo periodo, Gail Ann Dorsey, dal suono preciso e puntuale, per il fido Craig Ross alla chitarra, per le tre meravigliose coriste e per l'eccellente sezione fiati, oltre al tastierista che ha punteggiato i brani con il suono datato e fantastico del suo stupendo Fender Rhodes.

Concerto letteralmente incredibile, bellissimo. Al momento sicuramente il mio concerto dell'anno.
Un plauso alla D'Alessandro & Galli che hanno messo su, per il pluridecorato “Summer Festival” una serata di questo tipo, con due artisti eccellenti e con la bella e piacevole aggiunta degli inaspettati London Souls.

Vorrei però fare una piccola riflessione su quanto, dagli anni '70 ad oggi sia cambiato il pubblico che va ai concerti.
Sulla pagina facebook del Festival toscano, ho letto svariati commenti sul concerto di cui vi ho appena parlato; oltre ai molti (giusti) commenti che lodavano la stupenda performance di Kravitz, ho trovato moltissimi commenti di ragazzi/e deluse dal fatto che Lenny ha “allungato” (l'hanno proprio definito così) troppo i brani e che alla fine ne ha fatti pochi, tralasciando a parte l'iniziale “Frankenstein”, l'ultimo album ed i numerosi superhits di cui si può vantare.
Purtroppo anni di “non cultura” musicale ci hanno portato a questo; gente che va al concerto per sentirsi il greatest hits dell'artista in questione e, quando invece trovano uno che tira letteralmente giù i muri, con un concerto di una forza incredibile come quello a cui abbiamo assistito, lasciando spazio totale ai fantastici musicisti che compongono la sua band, di lasciarsi andare a jam strumentali assolutamente improvvisate, come si faceva un tempo...beh, non va bene, restano delusi!
Non ho davvero parole!
Se capita che, girando per il mondo durante queste vacanze, vi imbattete in un concerto di Lenny Kravitz, un consiglio: non perdetevelo; è quanto di meglio c'è al momento sulla piazza.

Questa la set list del concerto di Lenny Kravitz al Lucca Summer festival:

Frankestein
American woman
It ain't over til it's over
Dancin' til dawn
Sister
Believe
Always on the run
I belong to you
Let love rule
Fly away
Encore:
Are you gonna go my way 

domenica 12 luglio 2015

BILLY IDOL- Lucca Summer Festival 2015

Sono sempre stato un ammiratore di Billy Idol, sin dai tempi dei Generation X, band nata in un periodo in cui ben altre band, come Clash, Sex Pistols e Damned, riscuotevano maggiori consensi.
Ricordo però che nelle mie compilations su cassette c-90 dell'epoca la loro "Ready, Steady Go" non mancava mai.
Anche la sua carriera da solista mi ha sempre entusiasmato, certo siamo nei territori di un rock un po' annacquato dal pop, sempre però di gran classe e con una manciata di grandi hits e tante belle canzoni i cui ascolti mi riportano sempre agli anni '80, decennio particolare, pieno di contraddizioni ma anche pieno di buona musica.

La sua sfrontatezza, il suo essere un po' un ribelle quasi cinematografico, il suo ghigno malefico, quel suo essere un sex symbol, hanno suscitato in me una certa simpatia nei suoi confronti.
Ricordo pure che verso la metà degli anni '80, all'indomani dello scioglimento di Clash, anche Paul Simonon, bassista della band, si diresse verso Los Angeles ed assieme a Mickey Rourke ed appunto Billy Idol, passò un periodo dove si rilassò con lunghi rides in Harley Davidson assieme a loro. Ho sempre cercato di immaginare il numero di donne cadute nella morsa del fascino dei tre...dev'essere stato qualcosa di veramente impressionante!

La prima volta che vidi Billy dal vivo fu nel 2005, in occasione della sua partecipazione ad una serata dell'"Heineken Jammin' Festival", che lo vedeva aprire per i Velvet Revolver di Slash e Scott Weiland e degli Oasis.
Confesso che in realtà io andai principalmente per vedere lui, che infatti mi divertì moltissimo.
Era da poco uscito il suo album "Devil's Playground", disco che avevo letteralmente consumato in quella calda estate e lui, in forma smagliante, iniziò addirittura sotto il sole, con una stupenda "Super Overdrive".
Fisico da trentenne, addominali scolpiti, consueto ghigno dipinto sul volto ed un concerto tiratissimo che, a mio avviso, adombrò persino i Velvet che suonarono dopo di lui (per non parlare dei boriosi Oasis che, dopo appena quaranta minuti di musica, per me più che sufficienti, mandarono tutti a casa).

Il mio secondo appuntamento fu nel 2012 a Piazzola sul Brenta (Padova), durante l' "Hydrogen Festival 2012", dove una massa di quasi diecimila persone accorse a tributare il saluto all'ex leader dei Generation X.
Erano passati sette anni dal precedente concerto di Billy a cui avevo assistito, rimasi però sbalordito dal fatto che, a parte qualche evidente ruga in più, il suo stato di forma era assolutamente identico.
Concerto che superò abbondantemente le due ore, con lui che ci sciorinò praticamente tutti i suoi successi, con una grinta ed una carica strepitosa.

Due giorni fa sono tornato a far visita al vecchio Billy, questa volta nella vicina Lucca, durante una data del supercartellone del "Lucca Summer Festival", Festival che, assieme al "Pistoia Blues" fa della Toscana la regione musicalmente più ricca dell'estate italiana.

Circa duemila-duemilacinquecento persone attendono Billy.
Steve Stevens, autentica icona e chitarrista storico della band del Rebel Yell, arriva sul palco accolto da un boato, pochi accordi ed è subito Billy!
L'inizio è con "Postcard From The Past" dal recente "Kings And Queens Of The Underground", però noto qualcosa che non va; Billy pare addirittura un po' stonato ed il suono è piuttosto confuso.
Con "Cradle Of Love" e "Can't Break Me Down" lui si riprende ed il concerto decolla definitivamente con "Dancing With Myself".
Con un repertorio come il suo non è certo difficile tenere in mano una Piazza ed infatti ci riesce benissimo, come riesce benissimo a dissipare i miei dubbi circa quell'inizio un po' balbettante.
Una lunga introduzione, con la chitarra acustica a tracolla e via con una "Sweet Sixteen" bellissima, seguita da una "Eyes Without Face" che, come tutte le volte, ha il potere di rimandarmi alla lontana estate del 1985, quando con altri quattro amici, decidemmo di prendere i nostri sacchi a pelo e, su un vecchio Range Rover, facemmo un giro passando dalla Francia, per arrivare nei Paesi Baschi, fino a Pamplona, dormendo dove capitava (persino in una specie di palude, divorati dalle zanzare).

Non mancano ovviamente le classiche "Flesh For Fantasy", "Rebel Yell", viene persino ripescata "Ready Steady Go" che ci trasporta nella metà dei '70, quando la musica punk viveva i suoi giorni di vera gloria
Tutto bene, concerto molto divertente fino alla seconda canzone del bis.
Ci eravamo allontanati un attimo dalle prime file per andare a berci una birra (la calura di questo incredibile luglio ce lo aveva consigliato); Billy e la sua band avevano attaccato "Mony Mony" e la versione che usciva dalle casse era qualcosa di terrificante,il guppo faticava non poco nel cercare di coprire le sue evidenti defaillance vocali, non ce la faceva davvero più, come le immagini dei megaschermi impietosamente dimostravano;  per poter riprender fiato mentre cantava, respirava a bocca aperta, con il viso devastato dalla stanchezza ed eravamo a poco più di un'ora e mezza dall'inizio del concerto.
D'accordo che era caldissimo e d'accordo che il vecchio Billy è oramai alla soglia dei 60 anni, però vederlo terminare il concerto così mi è davvero dispiaciuto.

Non è certo stato un concerto da pollice verso quello a cui ho assistito, sia chiaro, però un concerto che ha avuto, a mio avviso, un inizio ed una fine da dimenticare.

Ci vediamo alla prossima vecchio leone!

(La foto dell'Heineken Jammin' Festival 2005 è di: Silvano Martini
Le foto del Summer Festival 2015 sono di: Angelo Trani)